Merate, viaggio a ritroso nel tempo/4: dal Trani al Cantinun tra canti e busecca è nato il Coro La Torr, con Luigi e Enrica
Quello che riproponiamo ai lettori di Merate e a quanti nella nostra città hanno vissuto è null'altro che un piccolo regalo fatto nel lontano 2001. Merateonline era agli inizi, aveva appena un anno, e poco più di 500 ingressi al giorno. Merate era l'epicentro del giornale e la storia della città stava nel cuore dei fondatori. L'idea era di continuare con una tecnologia (allora) sperimentale l'esperienza maturata nella carta stampata. Senza velleità, un’informazione diversa, rapida, libera, senza condizionamenti né scadenze da rispettare. Dalle prime inchieste che hanno imposto ben presto il nuovo giornale all’attenzione dei maggiorenti sono seguite reazioni sempre più stizzite fino alla violenta perquisizione ad opera dei carabinieri del 1° agosto 2002. Ma nonostante tutto siamo andati avanti e in quei mesi abbiamo dedicato il lavoro alla nostra città.
Le storie delle osterie, spesso si intrecciano con quelle delle famiglie che le hanno gestite. E' il caso della famiglia di Luigi e Enrica Motta. Anche quando andarono a gestire il "Cantinun" per i meratesi erano sempre Luigi e Enrica del Trani.
Sì, perché la loro storia "professionale" incomincia nel 1937, quando rilevano il locale che occupava l'ultimo negozio di Palazzo Albini, all'imbocco della Scoladriga. L'osteria era stata aperta i primi del Novecento, accanto alla più antica osteria di Ravasi, da una famiglia immigrata da Trani, provincia di Bari. I gestori, naturalmente, facevano arrivare dalla Puglia le botti di vino prodotto principalmente nei vigneti di Trani. Di qui il nome del locale. Nel '37, come dicevamo, Luigi Motta lo rileva. L'esercizio pubblico è povero, come del resto l'intero paese. Contadini e operai siedono ai tavoli con la "schiscetta", un recipiente di alluminio, contenente il "secondo", mentre il "primo piatto" è servito dai Motta. "Il giorno di Natale del 1944 - ricordava Enrica del Trani - il locale era chiuso. Sentimmo bussare forte. Era un austriaco, stanco e affamato, rimasto chissà come tagliato fuori durante la ritirata. Avevamo paura, non sapevamo come comportarci. Ma faceva pena, me lo ricordo ancora. Così lo invitammo ad entrare. Abbiamo pranzato tutti assieme, con lui e i nostri figli. E' stata una bella festa; poi giunta la sera, l'uomo ci ha ringraziato in qualche modo e si è dileguato nel buio. Di lui non abbiamo saputo più nulla".
Nel 1952 la Banca Briantea, proprietaria dei locali non rinnova l'affitto e i Motta se ne devono andare. Ma la nuova occasione è già pronta. Arturo Pirovano, mitico gestore del "Cantinun" vuole lasciare. E la famiglia Motta è pronta a rilevare il bar.
L'antico trani detto del "Cantinun", apriva sull'attuale via Viganò, nei locali della banca cittadina, di fronte al parco delle Rimembranze. Lo conduceva dall'inizio del secolo scorso un certo Mentin e nonostante l'impegno a "personalizzarlo" profuso da Arturo Pirovano, il locale rimase per tutti, fino al 1952 il "Cantinun del Mentin". Era il ritrovo abituale dei contadini che, soprattutto il martedì affluivano dalle cascine per il mercato settimanale. Ma era soprattutto il luogo di incontro per un bicchierino o un piatto di "busecca" degli operai del calzaturificio Bielli che si trovava in Via Cornaggia. Il "Cantinun" apriva alle cinque, quando gli operai che scendevano in bicicletta da Sartirana, Cassina e Sabbione per raggiungere la stazione ferroviaria, si fermavano per le sigarette e un bicchierino di grappa. Spesso qualcuno ancor più mattiniero, svegliava la "signora Carla", figlia di Arturo Pirovano, gettando sassi contro i vetri della sua stanza da letto, che si trovava sul piano sopra il bar. Il trani era l'unica rivendita in paese dei biglietti del treno. Ma c'era una persona, un'altra delle macchiette che un tempo animavano le strade dei paesi, che batteva tutti, al mattino: era Battista "ul butee", il costruttore di botti. Battista aveva la bottega proprio dietro il Cantinun e prima di iniziare a lavorare di sega, pialla e martello passava dal bar. Il fatto è che di pause per "ul bucer", il bicchierino, ne faceva parecchie durante la mattinata, così già a metà pomeriggio la precisione sul lavoro lasciava parecchio a desiderare. Ma era un tipo simpatico col quale anche i personaggi "importanti" si fermavano volentieri a chiacchierare. A metà mattina, infatti, il Cantinun era meta di visita da parte delle persone più facoltose del paese, tra cui Carlo Baslini, medico e sindaco di Merate. Amavano sorseggiare vini di qualità che Arturo faceva arrivare dal sud, via treno, fino alla stazione di Sesto e poi, da lì, a Merate su carri trainati dai cavalli. L'arrivo del carro suscitava curiosità e gioia, soprattutto tra i bambini che correvano a vedere le grandi botti, rotolare sugli assi appoggiati a terra. La cucina del Cantinun era apprezzata e, soprattutto di martedì, e durante la tre giorni fieristica di Sant'Ambrogio, il locale era letteralmente preso d'assalto. Come il 25 ottobre, festa di San Crispino, patrono dei calzolai, che quel giorno vedeva riuniti tutti i dipendenti del Bielli per il banchetto sociale.
Alla fine del 1952 Luigi e Enrica Motta prendono il posto della famiglia Pirovano e fanno installare una delle prime macchine del caffè. Una vera rarità.
"C'erano giorni, soprattutto sotto la Fiera - dice la signora Enrica - che aprivamo alle 4 del mattino e chiudevamo dopo le due. Giornate pesantissime durante le quali si serviva più di un quintale di trippa". C'è da dire che quelli erano inverni lunghi, freddi e nevosi. Le lampade appese ai lati dell'ingresso del Cantinun gettavano una luce fioca sulla coltre di neve che copriva il marciapiede della via. Dall'altra parte della strada c'era il buio dei giardini pubblici. Dentro, la stufa a legna e carbone, con il lungo tubo che saliva fino alla cappa, scaldava i due locali dove, seduti attorno ai tavoli, numerosi uomini giocavano a scopa liscia e a scopa d'asse, fino a notte fonda. Gli ambulanti che venivano per la fiera, non tornavano quasi mai a casa. Stavano fino alle due o le tre al Cantinun, poi, si rifugiavano dentro i loro furgoncini o, addirittura sui carretti e, coperti da un telo e qualche sacco, trascorrevano dormendo il resto della notte. L'appuntamento classico per la trippa, però, era dopo la messa di mezzanotte. Cantinun e Taverna si dividevano i clienti servendo ai tavoli scodelle fumanti di trippa appena bollita. Il clima natalizio, allora, si sentiva davvero. I regali anche per i bimbi erano pochi e modesti e la festa dopo la messa di mezzanotte era il momento più suggestivo dell'intera Natività. In Chiesa don Franco Longoni intonava potenti "Astro del ciel" e "Tu scendi dalle stelle". La sua voce non aveva bisogno di amplificatori, rimbombava sotto la volta della parrocchiale di Sant'Ambrogio e tutti i fedeli si univano a lui nel canto. Poi, quasi in processione, scendevano dal sagrato sino alla Scoladriga; qualcuno si fermava alla Taverna, gli altri giravano l'angolo ed entravano al Cantinun.
Appena faceva bel tempo, Luigi metteva fuori i tavolini di legno rotondi e quadrati e le sedie realizzate con lunghe trecce di plastica colorata, gialla, rossa, blu, verde, sul telaio di ferro. Il troppo uso finiva per aprire varchi tra una treccia e l'altra col rischio per l'avventore, di sprofondare dentro. La gente si sedeva fuori nelle sere d'estate, alla tremula luce delle lampade, sotto la frescura dei tigli, e faceva notte.
Qualcuno cantava, sfidando le lamentele dei vicini. E canta oggi, canta domani, attorno a quel "qualcuno" si è costituito un gruppetto di amanti del bel canto. E' nato così il coro La Torr. Un sodalizio che ha percorso parecchia strada contribuendo a rendere famosa in mezza Europa la cittadina di Merate. Era il 1975. Nell'aprile di tre anni dopo, la Banca Briantea "requisì" anche il Cantinun per allargare i propri uffici. E Luigi e Enrica Motta dovettero lasciare ancora, a malincuore. Con la chiusura del Cantinun si è davvero chiusa un'epoca, quella della Merate contadina e operaia. Il terziario era il nuovo protagonista economico e sociale. Per questo, forse, locali come il Trani di Luigi e Enrica non avevano più futuro.
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4/continua
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Le storie delle osterie, spesso si intrecciano con quelle delle famiglie che le hanno gestite. E' il caso della famiglia di Luigi e Enrica Motta. Anche quando andarono a gestire il "Cantinun" per i meratesi erano sempre Luigi e Enrica del Trani.
Sì, perché la loro storia "professionale" incomincia nel 1937, quando rilevano il locale che occupava l'ultimo negozio di Palazzo Albini, all'imbocco della Scoladriga. L'osteria era stata aperta i primi del Novecento, accanto alla più antica osteria di Ravasi, da una famiglia immigrata da Trani, provincia di Bari. I gestori, naturalmente, facevano arrivare dalla Puglia le botti di vino prodotto principalmente nei vigneti di Trani. Di qui il nome del locale. Nel '37, come dicevamo, Luigi Motta lo rileva. L'esercizio pubblico è povero, come del resto l'intero paese. Contadini e operai siedono ai tavoli con la "schiscetta", un recipiente di alluminio, contenente il "secondo", mentre il "primo piatto" è servito dai Motta. "Il giorno di Natale del 1944 - ricordava Enrica del Trani - il locale era chiuso. Sentimmo bussare forte. Era un austriaco, stanco e affamato, rimasto chissà come tagliato fuori durante la ritirata. Avevamo paura, non sapevamo come comportarci. Ma faceva pena, me lo ricordo ancora. Così lo invitammo ad entrare. Abbiamo pranzato tutti assieme, con lui e i nostri figli. E' stata una bella festa; poi giunta la sera, l'uomo ci ha ringraziato in qualche modo e si è dileguato nel buio. Di lui non abbiamo saputo più nulla".
Nel 1952 la Banca Briantea, proprietaria dei locali non rinnova l'affitto e i Motta se ne devono andare. Ma la nuova occasione è già pronta. Arturo Pirovano, mitico gestore del "Cantinun" vuole lasciare. E la famiglia Motta è pronta a rilevare il bar.
L'antico trani detto del "Cantinun", apriva sull'attuale via Viganò, nei locali della banca cittadina, di fronte al parco delle Rimembranze. Lo conduceva dall'inizio del secolo scorso un certo Mentin e nonostante l'impegno a "personalizzarlo" profuso da Arturo Pirovano, il locale rimase per tutti, fino al 1952 il "Cantinun del Mentin". Era il ritrovo abituale dei contadini che, soprattutto il martedì affluivano dalle cascine per il mercato settimanale. Ma era soprattutto il luogo di incontro per un bicchierino o un piatto di "busecca" degli operai del calzaturificio Bielli che si trovava in Via Cornaggia. Il "Cantinun" apriva alle cinque, quando gli operai che scendevano in bicicletta da Sartirana, Cassina e Sabbione per raggiungere la stazione ferroviaria, si fermavano per le sigarette e un bicchierino di grappa. Spesso qualcuno ancor più mattiniero, svegliava la "signora Carla", figlia di Arturo Pirovano, gettando sassi contro i vetri della sua stanza da letto, che si trovava sul piano sopra il bar. Il trani era l'unica rivendita in paese dei biglietti del treno. Ma c'era una persona, un'altra delle macchiette che un tempo animavano le strade dei paesi, che batteva tutti, al mattino: era Battista "ul butee", il costruttore di botti. Battista aveva la bottega proprio dietro il Cantinun e prima di iniziare a lavorare di sega, pialla e martello passava dal bar. Il fatto è che di pause per "ul bucer", il bicchierino, ne faceva parecchie durante la mattinata, così già a metà pomeriggio la precisione sul lavoro lasciava parecchio a desiderare. Ma era un tipo simpatico col quale anche i personaggi "importanti" si fermavano volentieri a chiacchierare. A metà mattina, infatti, il Cantinun era meta di visita da parte delle persone più facoltose del paese, tra cui Carlo Baslini, medico e sindaco di Merate. Amavano sorseggiare vini di qualità che Arturo faceva arrivare dal sud, via treno, fino alla stazione di Sesto e poi, da lì, a Merate su carri trainati dai cavalli. L'arrivo del carro suscitava curiosità e gioia, soprattutto tra i bambini che correvano a vedere le grandi botti, rotolare sugli assi appoggiati a terra. La cucina del Cantinun era apprezzata e, soprattutto di martedì, e durante la tre giorni fieristica di Sant'Ambrogio, il locale era letteralmente preso d'assalto. Come il 25 ottobre, festa di San Crispino, patrono dei calzolai, che quel giorno vedeva riuniti tutti i dipendenti del Bielli per il banchetto sociale.
Alla fine del 1952 Luigi e Enrica Motta prendono il posto della famiglia Pirovano e fanno installare una delle prime macchine del caffè. Una vera rarità.
"C'erano giorni, soprattutto sotto la Fiera - dice la signora Enrica - che aprivamo alle 4 del mattino e chiudevamo dopo le due. Giornate pesantissime durante le quali si serviva più di un quintale di trippa". C'è da dire che quelli erano inverni lunghi, freddi e nevosi. Le lampade appese ai lati dell'ingresso del Cantinun gettavano una luce fioca sulla coltre di neve che copriva il marciapiede della via. Dall'altra parte della strada c'era il buio dei giardini pubblici. Dentro, la stufa a legna e carbone, con il lungo tubo che saliva fino alla cappa, scaldava i due locali dove, seduti attorno ai tavoli, numerosi uomini giocavano a scopa liscia e a scopa d'asse, fino a notte fonda. Gli ambulanti che venivano per la fiera, non tornavano quasi mai a casa. Stavano fino alle due o le tre al Cantinun, poi, si rifugiavano dentro i loro furgoncini o, addirittura sui carretti e, coperti da un telo e qualche sacco, trascorrevano dormendo il resto della notte. L'appuntamento classico per la trippa, però, era dopo la messa di mezzanotte. Cantinun e Taverna si dividevano i clienti servendo ai tavoli scodelle fumanti di trippa appena bollita. Il clima natalizio, allora, si sentiva davvero. I regali anche per i bimbi erano pochi e modesti e la festa dopo la messa di mezzanotte era il momento più suggestivo dell'intera Natività. In Chiesa don Franco Longoni intonava potenti "Astro del ciel" e "Tu scendi dalle stelle". La sua voce non aveva bisogno di amplificatori, rimbombava sotto la volta della parrocchiale di Sant'Ambrogio e tutti i fedeli si univano a lui nel canto. Poi, quasi in processione, scendevano dal sagrato sino alla Scoladriga; qualcuno si fermava alla Taverna, gli altri giravano l'angolo ed entravano al Cantinun.
Appena faceva bel tempo, Luigi metteva fuori i tavolini di legno rotondi e quadrati e le sedie realizzate con lunghe trecce di plastica colorata, gialla, rossa, blu, verde, sul telaio di ferro. Il troppo uso finiva per aprire varchi tra una treccia e l'altra col rischio per l'avventore, di sprofondare dentro. La gente si sedeva fuori nelle sere d'estate, alla tremula luce delle lampade, sotto la frescura dei tigli, e faceva notte.
Qualcuno cantava, sfidando le lamentele dei vicini. E canta oggi, canta domani, attorno a quel "qualcuno" si è costituito un gruppetto di amanti del bel canto. E' nato così il coro La Torr. Un sodalizio che ha percorso parecchia strada contribuendo a rendere famosa in mezza Europa la cittadina di Merate. Era il 1975. Nell'aprile di tre anni dopo, la Banca Briantea "requisì" anche il Cantinun per allargare i propri uffici. E Luigi e Enrica Motta dovettero lasciare ancora, a malincuore. Con la chiusura del Cantinun si è davvero chiusa un'epoca, quella della Merate contadina e operaia. Il terziario era il nuovo protagonista economico e sociale. Per questo, forse, locali come il Trani di Luigi e Enrica non avevano più futuro.
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4/continua
di Claudio Brambilla e Roberto Perego