40 anni fa la L.R. /77 istitutiva del "Parco del Curone". Mascheroni e Molgora raccontano la storia dell'Ente

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Quarant'anni fa la Regione Lombarda promulgava la legge 77 "Istituzione del Parco naturale di Montevecchia e della valle del Curone". Sul testo sono indicati i confini del parco e le figure operative. Gran parte del contenuto della legge regionale sui parchi, peraltro è dovuto al confronto dell'assessorato regionale dell'epoca con Eugenio Mascheroni e gli altri sindaci promotori della costituzione di una riserva naturale da proteggere dall'avanzata dell'edilizia attraverso specifiche norme inserite nei rispettivi piani urbanistici.
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In vista di questo importante anniversario - che formalmente cade il 16 settembre, data della L.R. 77 - abbiamo intervistato il vero artefice di questo grandissimo progetto, il dottor Mascheroni, assieme al suo successore, Marco Molgora, già sindaco di Osnago. Il Consorzio di gestione dell'Ente fu costituito nel 1986 e nella seduta del 23 maggio i comuni partecipanti nominario all'unanimità primo presidente proprio Mascheroni. Che è rimasto in carica fino al 2019, 33 anni, poco meno dei 34 anni in cui il professionista (è dottore commercialista con studio in Monza) è stato sindaco di Montevecchia, 7 consigliature con consensi nell'ordine del 70%.
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Marco Molgora e Eugenio Mascheroni

Nel 1983, quando venne istituito il Parco, Mascheroni aveva 45 anni e Molgora 23. Una generazione di distacco. Come avete vissuto quel periodo, con quale spirito?

Mascheroni: “Era già da qualche anno che un gruppo di sindaci del territorio aveva iniziato a riflettere sull’ipotesi di costituire un Parco regionale. C’era una comune attenzione a ridurre l’edificazione o a spostarla da un’altra parte. Ricordo che una volta mi accorsi di una ruspa in azione sopra Galbusera Bianca. Chiamai allarmato l’allora sindaco Brambilla, il quale mi disse di non essere al corrente di quei lavori, ma che si sapeva che la proprietà aveva l’intenzione di presentare un Piano di Lottizzazione. Invitai a mandare i vigili per un sopralluogo. E così fu fatto. Quell’intervento avrebbe rovinato la valle”.

Molgora: “Ricordo che, poco più che quindicenne, già avevo iniziato a sentir parlare dell’eventualità di creare un Parco. C’era un gran dibattito tra quelli a favore e quelli che esternavano timori per il freno all’espansione edilizia. Erano altri tempi, con un’altra cultura del resto”.

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Si è arrivati all’istituzione del Parco attraverso un processo dal basso o è stato indotto dalla Regione?

Mascheroni: “Direi che è stato un movimento dal basso. Possiamo dire di aver partecipato alla fase in cui la Regione ha riorganizzato il Sistema delle Aree Protette Lombarde, con Legge approvata sempre nel 1983. In quel momento in Lombardia esisteva solo il Parco del Ticino. Il Parco di Montevecchia e della Valle del Curone è stato uno dei primissimi Parchi lombardi. Il nucleo iniziale dei Comuni era composto, oltre che da Montevecchia, da Missaglia, Sirtori, Rovagnate e Perego. Personalmente, mi sentivo anche con il sindaco di Triuggio, Mattavelli, che era interessato a dare vita al Parco del Lambro. Non c’eravamo solo noi amministratori locali. C’era un gruppo di ambientalisti, tra cui spiccavano Restelli e Luigi Arlati. Noi sindaci esprimevamo la volontà di seguire l’ordinamento, con i suoi tempi e suoi meccanismi. Ufficialmente non appoggiavamo Restelli, ma ci faceva comodo. Una volta organizzarono una riunione in oratorio a Montevecchia. Io ne ero ben al corrente, ma non andai. Era opportuno mantenere separati il linguaggio e i toni del comitato dall’azione degli amministratori locali”.

Molgora: “Mascheroni veniva anche criticato dagli ambientalisti perché veniva visto come quello che frenava il percorso, ma in realtà stava mediando con gli altri sindaci. Non tutti erano così convinti di far nascere un Ente Parco. Ad esempio Osnago, una volta che era nato il Parco, rientrava in parte nei suoi confini ma il Comune non aveva aderito al Consorzio. Uno dei miei primi atti da sindaco fu infatti proprio quello di far entrare il Comune nel Consorzio”.

Mascheroni: “Qualche anno fa ho rivisto l’ex sindaco di Osnago Bonanomi qui a Montevecchia, al funerale di Carlina [Brivio, ex sindaca di Montevecchia, ndr]. Gettando lo sguardo verso il panorama ha ammesso che al tempo mi diede un fracco di rogne, ma che fosse stato un bene preservare il territorio. Qui a Montevecchia non avevamo solo il problema dell’urbanizzazione, ma anche di far capire ai cacciatori che non era più il tempo per praticare la caccia fra le case. Io ci andavo, avevo il fucile, ma lo misi via a quel punto. Non fu semplice farlo capire, c’era tensione con i vecchi cacciatori. Insomma, noi sindaci dovevamo barcamenarci con i vari interessi della popolazione”.

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Cascina Butto sede del Parco

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C’è qualche rimpianto?

Mascheroni: “Qualche errore è stato fatto. Non ho mai mandato giù il fatto di non essere riuscito a far realizzare la canalizzazione fognaria per tutta la valle del Curone. Avevo contattato un amico ingegnere per progettarla insieme ad una stazione di pompaggio, ma non riuscimmo ad arrivarci. Il principio era di creare un’opportunità per quelle vecchie cascine, che avevano le potenzialità per essere rilanciate e diventare ristoranti o agriturismi”.

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Dagli anni Ottanta a oggi l’urbanizzato è cresciuto molto anche nel Meratese. Colpa dei Piani Regolatori, ma il Parco non poteva incidere di più?

Mascheroni: “Il nostro Piano Regolatore è stato precedente all’istituzione del Parco. La nostra vecchia guardia, anche della DC, voleva le palazzine residenziali in collina e le fabbriche a valle. Noi avevamo invece un’altra visione, che è risultante vincente. In collina lasciare il verde e a valle costruire le case, mentre immaginavamo per le fabbriche un’area artigianale circoscritta. E poi il polo delle scuole. Ci dovemmo imporre con l’allora proprietà in zona Fontanile, trattammo con ‘il Campell” dei Lurani e alla fine ottenemmo a prezzo stracciato il terreno dove ora si trovano le scuole”.

Molgora: “La superficie del Parco è progressivamente aumentata nel corso degli anni. Agli inizi era estesa su 1.600 ettari circa. Attualmente siamo arrivati a 2.990 ettari, di cui 2.041 di Parco Naturale. Il territorio interessa dieci Comuni. Entro fine anno auspichiamo di completare l’iter per aggregare anche il Monte di Brianza per 810 ettari e la Riserva del Lago di Sartirana per altri 24 ettari. Alla fine di questo processo la superficie complessiva sarà di 3.824 ettari. Inoltre molti privati continuano a cedere al Parco porzioni di boschi di cui non sanno che farsene. È certamente un elemento di tutela in più”.
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Quali sono gli esemplari che possiamo dire che sono stati salvati grazie al Parco?

Molgora: “Il Parco sviluppa dei progetti di tutela e reintroduzione della fauna autoctona. Rientra tra gli obiettivi dell’Ente. Ci possiamo ritenere soddisfatti per la presenza del tasso, per il reinserimento della tartaruga palustre e altri anfibi grazie alla collaborazione con l’Università Bicocca di Milano e poi per il ripopolamento dello scoiattolo rosso europeo che dal nostro Parco si sta espandendo fino a Monza. È un bel segnale. Inoltre sono stati avvistati uno sciacallo dorato e un’aquila dei serpenti, conosciuta come biancone”.
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Nonostante questi e altri risultati del Parco, di tanto in tanto si avvertono delle resistenze da parte di alcuni Comuni. Basti pensare alle ritrosie sugli ampliamenti di Airuno e di Merate per la Riserva di Sartirana o alla questione dell’incremento del contributo di funzionamento da 1,10 a 1,50 euro ad abitante.

Mascheroni: “Nel Parco non si fa politica. Ma c’è chi ogni tanto la fa. Massironi era d’accordo a far rientrare il Lago di Sartirana nel Parco, mentre Panzeri e la sua Giunta no. Fortunatamente hanno cambiato posizione. Quando ho letto della contrarietà di alcuni Comuni all’incremento di 40 centesimi per abitanti o dell’ipotesi alternativa di un aumento graduale ho pensato che fosse una follia. Il contributo di funzionamento è inferiore alle spese dell’educazione ambientale nelle scuole che il Parco offre gratuitamente ai Comuni soci. Ma sono sicuro che se si facesse un’indagine tra i cittadini il 99% oggi direbbe che il Parco ci vuole”.

Molgora: “Se nel Parco si facesse politica sarebbe una guerra ogni volta. Invece per fortuna non è così. L’importante è spiegarsi e confrontarsi. È nato fin dalla sua costituzione come Parco dei Comuni ed è così anche adesso. La logica non può che essere quella del confronto costante. Ad esempio le tensioni con gli abitanti di Airuno si sono sgonfiate quando abbiamo spiegato che hanno diverse attività ricettive chiuse da tempo, ma che sotto una gestione del territorio da parte del Parco potrebbero risultare interessanti. E poi abbiamo dimostrato che si possono eseguire degli interventi manutentivi, come quello sul torrente Tolsera. Serve pazienza. Se qualcuno dicesse ora di ridurre l’estensione del Parco ci sarebbe la contrarietà della popolazione. Penso che dopo il Covid sia aumentata la consapevolezza di cosa significhi vivere in un territorio dove si possa godere di una migliore qualità della vita grazie ad un ambiente tutelato”.
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Con l’espansione del Parco verso il Monte di Brianza e la Riserva di Sartirana sarà difficile controllare tutto il territorio.

Molgora: “Il Parco può contare su una cinquantina di Guardie Ecologiche Volontarie, che sono un bene prezioso. Il problema non indifferente sta nella difficoltà di compiere un cambio generazionale. Qualche nuova GEV c’è ma aumentano sempre di più le GEV onorarie. Per quanto riguarda le due nuove aree pensiamo di affidare il coordinamento di ognuna di esse a due figure distinte. La cosa positiva è che da quando c’è Giovanni Zardoni come coordinatore le GEV sono più connesse con la struttura del Parco. Con lui abbiamo un filo diretto. Inoltre ci sono circa 35 volontari che collaborano alle attività delle GEV per piccole manutenzioni o per organizzare degli eventi. Per quanto riguarda l’Antincendio Boschivo abbiamo di recente esteso il raggio di azione della nostra squadra, che va da Costa Masnaga fino ad un tratto del Parco Adda Nord. Stiamo cercando di creare dei rapporti di collaborazione con l’associazione Amis di Pumpier de Meràa per costituire una realtà più ampia”.
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Qualche giorno fa al Giffoni Film Festival una ragazza in lacrime ha domandato al Ministro dell’Ambiente Pichetto se ha paura per i suoi nipoti a causa dei cambiamenti climatici. Vi rivolgo il medesimo interrogativo.

Mascheroni: “Quando racconto ai miei nipoti che quando ero giovane io un pezzo del nostro giardino era ricoperto di neve da novembre a marzo non ci credono. L’educazione ambientale, che contribuisce a svolgere il Parco, fa capire ai giovani quanto l’ambiente sia importante. È un pulviscolo, una gocciolina. Ma è anche questa una goccia importante. Dobbiamo capire che è fondamentale rispettare l’ambiente, che è esattamente quello che non si è capito negli ultimi cento anni”.

Molgora: “È una goccia, ma tante fanno la differenza. L’educazione ambientale costituisce il fiore all’occhiello del nostro Parco. Ogni anno, salvo la parentesi del Covid, portiamo i nostri progetti in oltre 100 classi. Abbiamo certificato che il nostro Ente è ad emissioni zero. Vale a dire che ciò che consumiamo in termini di anidride carbonica è inferiore a quanto trattenuto dagli alberi equivalenti che abbiamo inserito di recente nel patrimonio del Parco. Queste analisi ci stimolano a riflettere e a capire verso dove stiamo andando. Il contesto purtroppo è quello di una preoccupazione generale. Vengono in mente i dati sull’innalzamento della temperatura media degli oceani. Assistiamo già ai fenomeni di migrazione ambientale. Anche dalle nostre parti ci sono degli indicatori da tenere in considerazione. L’anno scorso per la prima volta abbiamo avuto il rischio di incendi boschivi nel periodo estivo. Purtroppo la situazione continua ad essere sottovalutata. Non sono un catastrofista. Serve però entrare nell’ottica che il futuro sarà diverso per via dei cambiamenti climatici. Ci si dovrà adattare”.
Marco Pessina
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