LIBRI CHE RIMARRANNO/92: una storia di dolore nelle 'Cronache private'' di Valentina Parasecolo

Nel gennaio del 1966 un bambino di dodici anni di nome Ermanno scomparve. La famiglia, proprietaria di un negozio a Viareggio, ricevette una telefonata con una vaga richiesta di riscatto. Un mese dopo il suo cadavere fu ritrovato sulla spiaggia di Marina di Vecchiano. Nella Viareggio della Bussola, le voci si addensarono sulla Pineta, luogo di ritrovo dei ragazzi di giorno e di prostituzione maschile di notte.
 
Mentre gli organi di stampa amplificarono il fatto, dando in pasto all'opinione pubblica allusioni, insinuazione, nomi e accuse infamanti, fu un giornalista, Marco Nozza, inviato speciale del "Giorno", il primo a capire che la pista sessuale avrebbe potuto essere un diversivo montato ad arte per nascondere le vere ragioni - se possibile ancora più abbiette - del sequestro, e che qui non svelo, sebbene siano agli atti della storia del nostro paese.
 
Perché il bambino si chiamava Lavorini di cognome, e il suo fu il primo "kidnapping", "sequestro di bambino" della storia italiana.
Di questo parla il bel romanzo di Valentina Parasecolo "Cronache private" (Marsilio, pagg. 496, Euro 21,00). Ma il bambino si chiama Sergio Rambaldi, il paese al confine tra il Lazio e l'Umbria si chiama Ferso (ed è inutile cercarlo su Google Maps), il locale fulcro di depravazione si chiama "Porticciolo". Se fosse solo così sarebbe un ottimo travestimento nominalistico di un fatto conosciuto: nulla, perciò, che valga la pena leggere né tantomeno segnalare in questa rubrica. Si dirà che anche Manzoni ha operato nello stesso modo, ed è vero, ma quanto sono inutili questi scavi documentaristici per svelare il dietro le quinte del romanzo. Quand'anche si dica che la monaca di Monza è esistita davvero, e si chiamava Virginia Maria de Lleyva, che l'innominato viveva a Brignano e si chiamava Francesco Bernardino Visconti, che a Orgiano, un paesino della provincia di Vicenza, un tale cappuccino di nome Cristoforo si è battuto contro il signorotto del luogo (e che Manzoni questi documenti li ha visti benissimo!), cosa toglieremmo o aggiungeremmo al romanzo?
 
Giornalista di "Servizio pubblico", "Vice", "Petrolio", collaboratrice di Rai Cultura, ora addetta alle relazioni coi media al Parlamento Europeo, Valentina Parasecolo scrive qui, davvero, un romanzo. E lo fa non quando traveste i fatti, ma quando vi aggiunge i due protagonisti e la loro piccola grande storia d'amore, di indagine, di dolore: Dora Bois, che sogna di diventare sarta, e Giovanni Pitorsi, giovane tombarolo segnato da un infortunio durante una delle sue sortite notturne per le necropoli della Tuscia. Passano entrambi da un dolore, la menomazione alla gamba per lui, la follia e il ricovero - con la buona dose di elettroshock che tanto piacevano negli anni Sessanta - per lei, per poi ritrovarsi di nuovo, scavati e resi nudi da questi dolori, a cercare non solo di risolvere un giallo, ma di dare un senso al dolore della madre di Sergio.
 
Scritto bene, con una prosa efficace perché sciolta, non è comunque un libro dalla lettura emotivamente facile. Non ce la si fa a divorarlo come se fosse un giallo, né come la solita contrastata storia d'amore e di provincia: il male subito da un bambino innocente scava a poco a poco nelle pagine, rendendo la scrittura via via più affilata col procedere dei capitoli, e gli occhi di chi legge più umidi.
 
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Rubrica a cura di Stefano Motta
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