LIBRI CHE RIMARRANNO/91: romanzo sui romanzi, la storia dell'editoria di Ferrari

Mi arriva a casa, inviatomi dall'ufficio stampa di Marsilio, questo libro che mi spiazza: Gian Arturo Ferrari, "Storia confidenziale dell'editoria italiana" (Marsilio 2022, pp. 368, euro 19,00).
Sono nella Giuria Tecnica del Premio Manzoni al Romanzo Storico e tento di capire se l'editore me lo abbia inviato ritenendolo meritevole di concorrere per questo ambìto premio letterario o se invece, come altrettante volte capita, mi sia arrivato in saggio per una recensione. Capisco la prima, e sono un po' disorientato: è un saggio, un reportage quasi giornalistico, non ha nulla di quel "misto di storia e invenzione" che dovrebbe caratterizzare qualsiasi romanzo "storico". Chi lo ha già letto e recensito insiste sul fatto che offra uno sguardo cinico e disincantato sul mondo dell'editoria, svelandone i retroscena e i meccanismi meno trasparenti, le compravendite (di diritti e di premi editoriali), i talenti e le manie dei grandi, da Rizzoli a Mondadori, da Einaudi a Spagnol. Soprattutto, essendo stato Ferrari, nel corso della sua carriera, prima editor della saggistica Mondadori, poi direttore dei Libri Rizzoli dal 1986 , poi di nuovo a nel 1988 per diventare direttore generale della divisione Libri della "berlusconiana Mondadori" fino al 2009, mi aspetto pagine di un milanesissimo (e giustissimo) pragmatismo.
Fare libri è una questione d'amore, diceva Valentino Bompiani, ma Ferrari tempera subito questo slancio romantico, perché ogni editor è sospeso - lo dice più volte nel libro - tra Dio e Mammona, tra la vocazione quasi spirituale a un'editoria "alta", forse pedagogica, di sicuro valore, e le esigenze del business, senza le quali nessun libro si sosterrebbe.
Racconta una storia che perlopiù si conosce, dai grandi padri fondatori dell'editoria italiana alla crisi di Einaudi, all'operazione Elemond, al lodo Mondadori, alle liti De Benedetti-Berlusconi, alla frammentazione del gruppo Rizzoli, con la nascita dell'ultima grande arrivata, La Nave di Teseo di Eco e di Elisabetta Sgarbi. Ci sono cent'anni della nostra storia italiana visti attraverso una finestra del tutto particolare.
E c'è di più.
Davvero, nonostante ne conoscessi i protagonisti e il finale, ho letto questo libro come se fosse un romanzo. Sbagliano i recensori che l'hanno definito un libro "cinico e spietato, capitalista e maschilista" o anche "un libro feroce". Ci ho trovato, invece, incanto e disincanto, utopia e contingenza, il racconto di una sfida inutile (a cosa serve pubblicare libri?) che deve accettare le leggi del mercato per poter davvero rendere un servizio alle idee che questi libri contengono.
Chi fa un libro? Quando me lo chiedono in giro per le presentazioni dei miei, rispondo sempre che la parte più importante non è il nome che campeggia in copertina ma quelli che compaiono nel colophon: perché le fasi di editing, packaging, marketing sono quelle che rendono un file di word davvero un libro. È una lezione imprescindibile e per nulla nostalgica per anni come i nostri in cui ogni autore di blog si definisce scrittore, in cui il giornalismo è soppiantato dal pettegolezzo social, in cui al Salone del Libro di Torino si dedica uno stand al self-publishing (leggi: gli autori che nessun editore ha voluto ma che, ritenendosi geni incompresi hanno deciso di stamparsi da sé). Fare libri è una cosa serissima.
Tutto questo racconta Ferrari in questo libro che è un romanzo sui romanzi. Scritto bene, con quel tono confidenziale che non è il pettegolezzo di chi, arrivato in alto che più in alto non si poteva, si toglie sassolini dalle scarpe o svela chissà quali scheletri negli armadi dei grandi gruppi editoriali. È mestiere, certo: Ferrari è uno che sa scrivere. Ma è anche nostalgia di sfide che hanno reso grande l'Italia. E lezione per chi queste strade sta ancora percorrendo.
 
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Rubrica a cura di Stefano Motta
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