Giorgio Spreafico con il suo ultimo libro rompe il silenzio su Romano Perego, 'gigante della Grigna'. Sala piena a Merate

«Se l’è bell, se l’è bell». Così era solito dire Romano Perego, tra i più forti alpinisti della “scuola brianzola” del secolo scorso, nato a Merate nel 1934 e morto a Calco nel 2019. Lo diceva salendo pareti che lo mandavano in estasi, talmente preso da dimenticarsi di piantare qualche chiodo in più necessario ai compagni di cordata che seguivano.

La copertina del volume

«Se l’è bell, se l’è bell» perché in fondo non c’era da metterla giù poi tanto dura: in montagna ci si andava per divertirsi. Così il giornalista e scrittore Giorgio Spreafico ha offerto la sintesi di un alpinista che ha fatto grandi cose e di queste grandi cose poco ha parlato, perché ciò che contava era “fare” le cose e non tanto raccontarle. E così è andata che, nonostante traguardi vertiginosi, Perego è rimasti quasi ai margini della narrazione della storia dell’alpinismo lecchese. Per quanto fosse un “ragno” e un accademico del Cai e per meriti alpinistici sia stato anche insignito del cavalierato della Repubblica. Una storia avvolta dal silenzio. Che invece va finalmente raccontata. E Spreafico – già autore di molti libri sull’alpinismo lecchese – ha infatti deciso di raccontare nel libro “Il Ragno silenzioso. Storia, pareti e imprese di Romano Perego, un gigante della Grigna” appena pubblicato da Teka Edizioni e presentato ieri sera in sala civica a Merate su iniziativa della locale sezione del Cai e di quella di Calco, oltre che del Comune ospitante. Stasera, invece, la presentazione a Lecco: appuntamento alle 20 allo Sport Hub di via Rivolta 14.

Giorgio Spreafico

 

Nel corso “prima” meratese, Spreafico ha raccontato il Perego alpinista e uomo, le conquiste e i drammi, ma anche i sogni rimasti nel cassetto, un racconto arricchito dalle testimonianze di alcuni alpinisti che hanno condiviso con Perego molte avventure: Tino Albani, Gildo Airoldi, Luigi Bosisio “Bis”. Presenti in sala, sono stati invitati a mettere in comune in propri ricordi. In grado di offrire un ritratto il più fedele possibile di Perego. Dopo le pennellate che a inizio serata avevano già dato i presidenti delle due sezioni Cai di Merate (Daniele Oggioni) e Calco (Matteo Fumagalli) e quello del Cai regionale Emilio Aldeghi.

Ne è uscita così la figura di un grande alpinista, riflessivo, preciso al millimetro, di poche parole e di grande serietà, uno dei più forti e completi scalatori del suo tempo – la sua stagione sono stati soprattutto gli anni Cinquanta e Sessanta – una «macchina da arrampicata», un esteta, sempre con la soluzione pronta.
Spreafico ha cominciato la serata con quindici secondi di silenzio per sottolineare i silenzi della montagna che poi non sono silenzi, «il silenzio degli uomini di montagna», scontrosità e ruvidezze, certi silenzi un po’ più complicati come quelli di Perego che non hanno raccontato di sé e di quello che hanno fatto anche se era qualcosa di speciale. Perché, appunto, l’importante era farlo e non andare a raccontarlo in giro, un invito alla concretezza e a lasciar perdere la vacuità dell’immagine.
Quarto di sei figli, Perego nasce in quegli anni Trenta in cui l’alpinismo lecchese comincia a emergere, gli anni in cui i “maledetti lecchesi” rubano le Grigne ai milanesi e poi gettano lo sguardo oltre i confini locali.

Luigi Bosisio “Bis”

Perito meccanico, amante della lirica, avrebbe fatto il contadino e invece fa l’operaio a Milano. Negli anni Cinquanta gli incontri decisivi: con il parroco don Franco Resinelli che porta i ragazzi sui monti e con un altro alpinista meratese, Luigi Magni. Nel 1957, Perego è già capocordata e nel 1958 si “prova” sulla via Bonatti al Gran Capucin sul monte Bianco dove incrocia Casimiro Ferrari che a un certo punto della salita gli cede il passo e lui a sua volta lo cede al suo secondo di cordata, un Angelo Galbusera al quale non pare vero di poter arrivare in vetta per primo. Perego arrampica con amici meratesi ma anche con altri alpinisti, liguri e piemontesi, che incontra strada facendo. Nel 1960 veste il maglione dei “ragni” ed è l’anno del “capolavoro” al Becco di Valsoera in Piemonte, un’impresa per la quale Perego verrà poi indicato come l’inventore con vent’anni di anticipo dell’arrampicata libera. Nel 1961 fa parte della spedizione al McKinley guidata da Riccardo Cassin, nel 1962 sale la tragica Nord dell’Eiger in Svizzera, un’ascensione vittoriosa ma che lo delude, ritenendola «una scalata né bella né difficile, solo pericolosa».

Tino Albani

Gildo Airoldi

E via elencando tra Alpi Occidentali e Afghanistan. E anche per Perego ci sono stati i momenti in cui ha rischiato di non tornare, lui con i compagni di cordata: il Cervino, il canalone Nord Est del Mont Blanc du Tacul. E i sogni nel cassetto come l’invernale sulla Nord Est del Badile. Un’attività rimasta complessivamente sotto traccia fino a oggi.
Oltre a raccogliere testimonianze e pescare in racconti già pubblici, Spreafico ha scandagliato i diari e i quaderni che Perego compilava: relazioni scarne ma sufficiente per vedere con occhi diversi certe pagine della storia dell’alpinismo lecchese e scoprire magari di una “ribellione” di Perego nei confronti di Cassin proprio sul McKinley.

«Perego – ha detto Spreafico – ci ha lasciato in eredita l’invito alla concretezza, il senso dei legami con associazioni e amici, ma anche un invito a spalancare le finestre e a condividere progetti con alpinisti “di fuori”. E ancora oggi abbiamo bisogno della sua passione per accendere quel fuoco che è la passione dell’andare in montagna».
Dario Cercek
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