La scuola è un recettore, un contenitore rappresentativo e proiettivo di ciò che accade fuori
Belgrado, 3 maggio 23, un ragazzo di 13 anni spara in classe e uccide otto bambini; Washington, 22 febbraio, un bambino di 6 anni spara, ferisce la maestra; un bambino di 5 anni esorta i suoi compagni su una chat di gruppo a sparare in classe; Giappone, studenti sparano in classe al volto la professoressa con una pistola a aria compressa; Russia, a un mese dalla sparatoria nell'università di Perm, negli Urali, e dopo quella di maggio avvenuta a Kazan, un altro caso di violenza con armi da fuoco scuote le scuole russe; nella medesima regione a settembre, un ragazzino di 12 anni esplode alcuni colpi, 300 studenti e 30 insegnanti riescono a mettersi in salvo; Buenos Aires, un giovane e timido studente argentino armato di una pistola calibro 9 semina terrore e morte in una scuola di Carmen de Patagones, è un episodio che evoca il massacro del 1999 alla Columbine High School di Denver, in Colorado; Abbiategrasso, 29 maggio, uno studente di 16 anni accoltella la prof in classe, ferita alla testa e al braccio per un ipotetico debito in Italiano e storia.
Professori aggrediti dagli studenti, un fenomeno in crescita. La situazione per il personale scolastico è complicata. Il più delle volte, forse, il motivo più comune da parte dei ragazzi è di dare spettacolo. I comportamenti disadattivi dei ragazzi scattano ulteriormente quando sono ripresi da qualcuno: a volte questi episodi sono studiati a tavolino, resi più scenografici proprio per essere ripresi e poi postati sui social network.
Solo in un caso su quattro, il professore alza la voce lasciando poi correre. Pochi prof. comunicano l'episodio al Dirigente Scolastico, che poi prende provvedimenti, come la sospensione. I genitori raramente si schierano con il docente: la maggior parte, appoggia i figli, senza cercare di capire il perché dei loro gesti.
Il bollettino del disagio scolastico è lungo, non riguarda solo casi particolari, si estende e dilaga dentro/fuori le scuole. Le scuole colpiscono l'immaginario collettivo perché sono considerate dei luoghi che dovrebbero essere esenti dai contrasti e dai conflitti sociali. Le scuole sono gli unici spazi sociali di incontro quotidiano di socializzazione, di confronto con le figure adulte (insegnanti) ma anche di conflitto. La scuola è un recettore, un contenitore rappresentativo e proiettivo di quello che accade fuori. Non è assolutamente esente da contrasti, pregiudizi, aspettative, attese, fatiche, frustrazioni: la scuola non è un santuario ma è un luogo in cui i ragazzi imparano nel bene e nel male a relazionarsi, confrontarsi.
L'apprendere, per certi versi, è secondario, anzi, se gestito con insipienza e arroganza, dentro questo contesto, rischia di trasformarsi in uno strumento deformativo. La questione è complessa. La scuola attuale è complessa, così com'è la società globale, post globale e necessita di strumenti di lettura che vadano oltre la "psicologizzazione" dei problemi.
E' una chimera pensare di governare i comportamenti relazionali, cognitivi dell'infanzia dei giovani studenti delegandoli soltanto agli psicologi scolastici: è un modo emergenziale di rispondere a un problema che è più complesso.
E, prendendo spunto dalla diminuzione della popolazione scolastica, sarebbe necessario pensare a strutturare classi con gruppi di bambini non superiori a 10 nella scuola dell'infanzia (renderla obbligatoria), così pure 12 nella scuola primaria e non più di 15 studenti nella scuola secondaria di primo e di secondo grado. E' un intervento strutturale indispensabile per potenziare competenze, apprendimenti e favorire delle relazioni costruttive. Una scuola aperta a tutti necessita di condizioni strutturali che siano funzionali ai bisogni di base della società complessa: non servono soluzioni semplificanti.