LIBRI CHE RIMARRANNO/89: il commissario Mandelli nel ''Trattamento del silenzio''

Recensendo il suo primo romanzo scrivevo che "Le notti senza sonno" apparteneva a quella ridottissima categoria di libri che fanno desiderare che ve ne sia un secondo, e poi un terzo, e poi un altro ancora. Non perché si concludesse con un finale aperto (le tessere dei due casi andavano ciascuna al posto giusto e tutto era chiaro), ma perché avrebbe fatto piacere passare ancora del tempo insieme al commissario Mario Mandelli dell'UACV, l'Unità di Analisi del Crimine Violento, e sua moglie Marisa.
Ricordo che mi scrisse con garbo e cortesia l'autore per rivelarmi che sì, non solo ci aveva già pensato ma che anzi il nuovo romanzo era in lavorazione. Perciò eccoci qui, a parlare del "Trattamento del silenzio" (Guanda, Milano 2023, pp. 584, Euro 20,00). Un romanzo che non delude le aspettative di chi aveva amato il primo. Una foliazione corposa, per fare la giusta compagnia ai lettori appassionati di gialli; due casi - anche qui - che si sovrappongono nella Milano contemporanea, uno più prosaico, diremmo, e un altro, quello che dà il titolo al romanzo, più sconvolgente, o "barocco", come dice uno dei personaggi subito all'inizio; la stessa scrittura cinematografica di cui già parlavo allora (potete rileggere la mia recensione qui); per molti versi gli stessi pregi (un ritmo incalzante di quelli che gli editor moderni definiscono romanzi "page turners", la stessa durata degli eventi, una settimana) e gli stessi difetti (personaggi che appaiono ricalcati, anche se meno pesantemente che nel primo, su alcuni cliché già letti).
Il titolo prende le mosse da una tecnica di interrogatori che gli esorcisti praticavano per estorcere le confessioni e che è ben spiegata nel trattato cinquecentesco di fra Girolamo Menghi, il "Compendio dell'arte essorcistica et possibilità delle mirabili et stupende operationi delli demoni et de' malefici", posseduto da un antiquario e sparito dalla sua libreria della villa oltre Trucazzano, verso l'Adda. Libreria alla quale l'anziano Niccolò Bessa Terzaghi viene trovato crocifisso e orrendamente mutilato: un orecchio mozzato e il cuore asportato con chirurgica ferocia. E questo non è che il primo degli omicidi progettati dallo Spettro, che arriverà a sfidare apertamente Mandelli e i suoi.
Nei chiostri dell'Università Cattolica e nei loft della Milano bene, invece, si aggira il Cacciatore, tra prede ventenni che pare non cerchino altro che lasciarsi predare. Sesso a pagamento con clientela selezionata per arrotondare, per concedersi qualche sfizio di moda, per fuggire alla noia. Fino a quando il gioco diventa poco remunerativo, o la dose di cocaina eccessiva, e ci scappa la disgrazia.
Sono questi i due fili che si intrecciano lungo le strade di Milano e della Brianza.
Se l'altra volta citava Merate, la cittadina in cui lavoravo in quel periodo, questa volta Cerone colloca uno snodo narrativo fondamentale sulla S.P. 173 che da Desio conduce verso Bovisio Masciago, esattamente all'altezza del terreno agricolo che la mia famiglia possiede da generazioni: Gian Andrea, se mi leggi - e so che mi leggi - ammettilo che sei dei Servizi Segreti anche tu!
Nonostante le atmosfere un po' grandguignolesche, non è il primo caso a generare l'inquietudine maggiore nei lettori. Posso confessare - senza rivelare nulla - di aver intuito l'identità del colpevole sin dal suo primo apparire nelle pagine, eppure di essere andato avanti a leggere con la medesima curiosità.
È il caso del Cacciatore quello più contorto e meglio scritto, che instilla una paura più sottile perché frutto di perversioni che sappiamo essere più diffuse di quanto non appaia.
Per entrambi i casi vale quel meccanismo che già funzionava nel primo romanzo, e che giustifica la mole non indifferente di pagine, vale a dire un doppio colpo di scena finale (ripeto: uno inatteso, l'altro più prevedibile) che spiazza il lettore un po' distratto o compiace quello più attento. Nell'uno e nell'altro caso Cerone non delude affatto i suoi lettori.
E poi c'è Milano, che forse è la vera protagonista del romanzo, con la sua ambivalenza campagnola e metropolitana, con le tristezze e le depravazioni occultate dietro reputazioni borghesi da difendere, e con la bontà di una volta, incarnata ancora da Isa Bonacina, la moglie del commissario Mandelli, che è per lui il rifugio pulito dalle brutture del suo lavoro, e per il lettore un momento di ristoro e buonumore tra pagine avvincenti ma non facili.
 
 
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Rubrica a cura di Stefano Motta
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