Merate: all'alba del 3 ottobre 2013 368 persone morirono al largo di Lampedusa. 155 i salvati, 47 ripescati da morte certa da Vito Fiorino. Il suo racconto agli studenti del Viganò

Sono stati il silenzio e gli occhi dei ragazzi puntati sui due relatori la cartina di tornasole per dare conferma che quell'incontro, organizzato durante una assemblea di istituto, non li avrebbe lasciati indifferenti e che quelle storie di morte, di dolore ma anche di rinascita e di speranza non se le sarebbero scrollate di dosso per molto tempo. Per qualcuno probabilmente segneranno anche una svolta nei pensieri spesso carichi di pregiudizi. Per altri rimarranno di certo una delle testimonianze più profonde e umane a cui hanno assistito.

Vito e Tareke

 

Nell'aula magna del polo delle scuole superiori, hanno sentito raccontare cosa è stato il 3 ottobre 2013 quando al largo di Lampedusa morirono 368 persone, 20 risultarono disperse e a salvarsi furono in 155. Un terzo di questi scampati fu tirato fuori dall'acqua e da morte certa da uno dei relatori che è stato invitato a raccontare agli studenti dell'istituto Viganò l'alba di quel giorno. Un incontro nato sulla scia della partecipazione avuta lo scorso anno da tre studenti dell'istituto alla giornata dell'accoglienza e dell'impegno, proprio nella splendida isola, nota per le sue spiagge e il suo mare cristallino che è diventato la tomba di migliaia di disperati.




Grazie all'interessamento della professoressa Paola Ghezzi, sono giunti così a Merate per la prima volta Vito Fiorino, il barese emigrato a Milano con le valigie di cartone, diventato titolare di una falegnameria e che a un certo punto si innamora di Lampedusa, vi si trasferisce, apre una gelateria e restaura una nave che diventa il luogo di ritrovo degli amici che si fanno un aperitivo serale nelle calette dell'isola, e Tareke Brhane, presidente del Comitato 3 ottobre, eritreo giunto dopo quattro anni di peregrinare da un campo profughi all'altro dell'Africa in Italia con un barcone e ora testimone di questi viaggi della disperazione.

Quel giorno all'alba era tutto buio, non c'era la luna. Vito e i suoi otto amici si trovavano sulla Gamar (la sua barca il cui appellativo è l'acronimo del nome dei nipoti) dopo una battuta di pesca protrattasi tutta la notte. Il gruppo stava ancora dormendo tranne lui e un altro che era al timone. Quello che Vito aveva scambiato per il vociare dei gabbiano era invece l'urlo di una massa di uomini, donne, bambini in mare naufragati da un barcone su cui erano stati stipati in 500.
Dopo lo smarrimento iniziale "uno scenario terrificante con 200 persone in mare che chiedevano aiuto" e l'allerta lanciato alla capitaneria di porto, Vito inizia a caricare sulla sua barca, omologata per 9, una persona dopo l'altra e pian piano acquisisce notizie sull'accaduto. "Arrivavano tutti nudi e mentre cercavo di portarli su mi sfuggivano perchè erano ricoperti di petrolio e ricadevano in acqua". Sul barcone che era affondato era scoppiato un incendio e tanti erano arsi vivi, il resto era finito in mare. Senza possibilità di scampo. "Io quattro o cinque li voglio salvare" si era detto mentre li caricava sulla Gamar uno dopo l'altro. Ne trarrà in salvo 47, tra cui una donna. Anni dopo, viaggiando per l'Italia a testimoniare quanto accaduto quella notte, scoprirà che in arabo "Gamar" significa luna. Quella luna che all'alba di quel 3 ottobre, buio e senza luce, ha salvato una cinquantina di persone.

I ragazzi del Viganò andati a Lampedusa

 

Una morte terribile quella occorsa a 368 di loro, simile a quella di tanti altri deceduti per stenti e fame nelle traversate del deserto dell'Africa per andare da un luogo all'altro, trascinati da un campo, che poi è una prigione, prima di potersi imbarcare. Lo ha raccontato bene Tareke partito adolescente con in mano tre caramelle lasciategli dalla mamma che lo accompagnava, col cuore straziato, per fuggire e dargli una possibilità di vita. In Italia ci arriverà 4 anni dopo la partenza dall'Eritrea, attraversando il Sudan e poi la Libia. Una prima traversata va male, solo alla seconda e solo dopo mesi da un campo all'altro riesce ad arrivare a Trapani dove riceve lo status di rifugiato e diventa un numero, 1883.

Una narrazione che ha lasciato senza fiato, ha commosso, a tratti ha spaventato per la crudezza dei racconti dietro cui ci sono persone, alcune vive perchè il destino gli ha fatto incrociare una Gamar e tantissime altre individuati solo da una lapide e un numero. Un destino contro cui si batte il Comitato 3 ottobre che oltre a sensibilizzare lavora affinchè anche i morti possano avere una dignità e un nome. Sempre.

P.S. Un invito ai nostri lettori: investite 9 minuti del vostro tempo per vedere il video sopra riportato con la testimonianza di Vito Fiorino. Lo scritto non riesce a raccontare quello che è stato...
S.V.
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