Cernusco: il percorso della Resistenza, tra testimonianze e luoghi della memoria, contro chi vuole 'riscrivere' la Storia
Da uno squarcio di sole dopo il temporale dell’ora di pranzo, il 25 aprile a Cernusco Lombardone è stato caratterizzato da un “Percorso della Resistenza”. La pioggia, che in un periodo di siccità sembra quasi un effetto di una richiesta propiziatoria, è stata una parentesi tra i festeggiamenti per la Liberazione, cominciati di mattina con la celebrazione civile istituzionale [clicca QUI]. La sorte ha graziato il pomeriggio.
Il prof. Alberto Magni
L’iniziativa è stata organizzata dall’associazione Punto Rosso, con la collaborazione di ANPI Lecco e del Comune. Il senso dell’inedito evento è stato di ripercorrere i luoghi e le storie delle persone comuni che hanno preso parte in maniera più o meno diretta alla Resistenza. Per far capire che la Liberazione è stato un movimento di popolo che ha legato tutti, dai comunisti, ai liberali ai monarchici. “Tutti, tranne i fascisti” ha esordito nella prima tappa Alberto Magni, docente di Lettere in pensione, studioso della storia locale e membro dell’ANPI.
L'ing. Ernesto Passoni
Magni ha condannato le ricostruzioni della Storia che ministri e capo del governo hanno tentato goffamente di far passare per affievolire la portata degli eventi che segnarono la fine del ventennio fascista e dell’occupazione nazista. “Oggi c’è chi vuole macchiare, con dichiarazioni destituite di ogni fondamento storico, una delle pagine più nobili della Storia del nostro Paese, spargendo il diserbante sulle memorie e sulle narrazioni dei partigiani nel tentativo di cancellarne l’eredità ideale” ha detto il prof. Magni.
Liliana Rota
Abramo Bonfanti
Ad ascoltare il suo intervento all’ombra dei tigli di piazza della Vittoria c’era circa un’ottantina di persone, nel punto in cui sono presenti due targhe commemorative della Resistenza. Magni ha aggiunto: “Salvare queste memorie è compito della società civile. Non dobbiamo lasciare che venga reciso o stravolto il filo della memoria che unisce il passato al presente”.
La prof.ssa Roberta Villa
Il professore ha quindi portato il suo discorso sugli episodi più vicini nello spazio al territorio meratese, concentrandosi sulla zona dove i primi movimenti di Resistenza furono più intensi, il Monte San Genesio, dopo la svolta dell’8 settembre 1943. “Sbandati, renitenti alla leva, sfollati trovarono rifugio sui versanti del San Genesio, a cui il nome Monte consegna un blasone che forse non ha. Uomini mal armati, ribelli non ancora partigiani, in balia degli eventi, furono costretti a scegliere con celerità tra il risorgente fascismo e la ribellione antifascista, tra la Repubblica di Salò e la guerra per bande” ha spiegato il prof. Sul San Genesio passavano i fuggiaschi che cercavano riparo in Svizzera, quelli che rientravano dal fronte per unirsi alle prime cellule embrionali dei ribelli. Furono loro a far sorgere i primi gruppi in montagna.
Ermanno Zardoni
Alla reticenza e ai tentativi di revisionismo sono stati opposti i fatti della storia locale. “La guerra ai tedeschi e alla Repubblica sociale di Mussolini germogliò anche in questi boschi e pure qui in pianura tra campi, cascine, fabbriche, stazioni ferroviarie, ville signorili e colline” ha concluso il prof. Magni, non senza rivendicare che la Carta costituzionale è figlia della Resistenza.
A sinistra il prof. Saverio Catalano
Il secondo luogo prescelto è stato il portone d’ingresso di Villa Rusca, in via Roma. Il nastro è stato riavvolto fino al dicembre 1943 quando a Cernusco Montevecchia i fratelli milanesi Franco e Giancarlo Vicinelli, gli stessi che avevano partecipato alla formazione del distaccamento di Merate, si adoperarono per creare anche qui una compagnia. Il ruolo di comandante fu individuato in Alessandro Brivio e di commissario politico in Decimo Cappelli. Si erano uniti ex militari per condurre mirate azioni clandestine. Pochi mesi dopo, nel marzo 1944, furono poste le basi per aggregare i vari distaccamenti della zona. Oltre a Cernusco Montevecchia, anche Merate, Olgiate e Calco.
L’opera di tessitura di questo nucleo avvenne proprio a Villa Rusca, a quel tempo di proprietà di Luigi Rusca, un liberale antifascista. Uomo illuminato, conosceva diverse lingue, amava la cultura tedesca, un imprenditore che lavorò anche per il Touring Club, per la Mondadori, la Rizzoli e la EIAR. Furono le basi per la nascita della 104^ Brigata garibaldina rinominata “Gianni Citterio”, in onore a un partigiano morto in combattimento in Valdossola. La Brigata arrivò a contare 150 partigiani.
A dettagliare la geografia della Resistenza è stato l’ing. Ernesto Passoni, rifacendosi alla documentazione conservata da ANPI Lecco e da ricerche confluite nel 2005 nel volume “Partigiani tra Adda e Brianza. Antifascismo nel Meratese. Storia della 104^ Brigata Squadra di Azione Patriottica Citterio”. Passoni ha ricordato inoltre che i fratelli Vicinelli furono arrestati insieme a Carlo Bonfanti nel 1945 a causa di una delazione e torturati a Como. “Furono liberati il 25 aprile e ritornarono nel Meratese. Franco Vicinelli assunse posizioni di comando nel Distaccamento, che si rimpolpò e divenne così un Battaglione. Il fratello Giancarlo fu nominato Commissario di guerra” ha puntualizzato Passoni.
Ultima tappa alla cascina La Bësa. Qui la testimonianza del figlio di Carlo Bonfanti, Abramo, sodale dei fratelli Vicinelli, arrestato e torturato con loro a Como. Abramo, detto Nino, ha raccontato, dalla cascina in cui aveva abitato la sua famiglia, la fase della delazione e dell’arresto del padre. Ha aggiunto che nel marzo del 1945 una milizia stava per bruciare la cascina. “Avevano già il fiammifero in mano, così mi hanno sempre raccontato. Poi è intervenuto il dott. Ancarani per scongiurare l’operazione dicendo che nella cascina abitavano altre tre famiglie che non c’entravano niente. I militari cercavano delle armi che però non avevano trovato. Alla fine la cascina fu salva” ha testimoniato Abramo Bonfanti facendo suoi i racconti dei suoi parenti. Il padre Carlo però preferiva non parlare, si emozionava molto anche a distanza di anni. Qualche dettaglio in più è stato aggiunto dall’amico di Nino, Ermanno Zardoni: “Si dice che nella stalla della cascina venissero nascoste le armi dei partigiani, che furono portate via per tempo. Ad aiutare a spostare le armi si racconta che partecipò anche Gustin, un gigante con la gamba di legno, che andava in giro con il tabarro”. Zardoni ha poi rivolto un ricordo a Carlo Bonfanti: “Lui non si toglieva mai la maglietta, anche quando faceva caldo. Se gli si chiedeva come mai non se la levasse, lui scoppiava in un pianto. Sotto c’erano i segni delle torture”.
Il musicista Alberto Biffi, la prof.ssa Claudia Colombo e l'alunna Sara
Nella veranda della cascina è stato poi il turno dell’ex docente della scuola media “G. Verga” di Cernusco Lombardone, Roberta Villa. È stata invitata per ripercorre il periodo dei primi anni del 2000, cominciati con una visita di istruzione a Mauthausen, in compagnia del sopravvissuto alla deportazione Roberto Camerani. Da quell’esperienza, è nata la volontà di mantenere viva la memoria di quel periodo e la decisione così di intitolare l’Istituto comprensivo ad Antonio Bonfanti di Osnago e Angelo Valagussa di Cernusco, entrambi deportati in quel campo di concentramento. L’intitolazione è avvenuta nell’anno scolastico 2003/2004. Tra un anno si festeggerà il ventennale. L’insegnante ha sintetizzato le vicende di Bonfanti e Valagussa, descrivendo in che modo è stata condotta la ricerca per ricostruire i loro racconti. “È stato un lavoro intenso che ci ha fatto capire come la Storia si introduca nelle nostre piccole storie, riuscendo alla fine a determinarle. Perciò ognuno di noi deve essere responsabile e vigile, con occhio critico, su ciò che ci circonda. Oggi ci troviamo a dover compiere la Resistenza della memoria” ha commentato alla fine la prof.ssa Villa.
All’uscita un rinfresco offerto dai volontari di Punto Rosso.
M. P.