Olgiate: il professor Barberis incanta l’oratorio con il 'segreto' della Sindone
Nella serata di sabato 22 aprile presso il teatro dell'oratorio della chiesa parrocchiale di Olgiate Molgora si è tenuta l’ultima conferenza prevista nella rassegna “Ecce Homo” alla scoperta del mistero rappresentato dalla Sindone. Il progetto, coordinato dall’associazione culturale Eugenio Nobili, ha voluto in questi dieci giorni mettere al centro il valore della persona attraverso momenti di riflessione, meditazione e silenzi. Il professore Bruno Barberis, docente di fisica e matematica presso l’università di Torino e Sindologo di fama internazionale, ha presentato ai presenti l’oggetto più studiato nella storia dell’uomo, analizzato in tutte le branche scientifiche utilizzando tutte le tecnologie possibili: la Sindone.
È da queste parole che Barberis ha preso spunto per il titolo e la tematica di questa conferenza, domandandosi come un manufatto così semplice possa aver provocato – e ancora provocare – una moltitudine di domande a cui non si riesce ancora a dare una risposta definitiva nonostante gli innumerevoli studi compiuti negli anni. Nel 1898 la realizzazione di un negativo della sindone, permise negli anni 30 e 40 di compiere degli studi scientifici simulando un’autopsia su una fotografia che permise di comprendere se le caratteristiche su di essa presenti fossero state davvero lasciate da un essere umano. Sicuramente si tratta di un’impronta umana perché sono distinguibili delle macchie di sangue che risultano dalla crocifissione, una pratica molto usata dai romani. Venne esclusa però una delle prime ipotesi formulata, una delle più semplicistiche, ovvero che l’alone del corpo fosse risultato da contatto diretto. Questa supposizione non tiene però conto che il corpo umano è curvo, non ha una superficie piatta come quella della Sindone, quindi una volta che il telo viene sollevato dal corpo la sagoma di esso dovrebbe risultare allungata e deformata sul tessuto, sulla Sindone questo non succede, l’impronta è perfetta. Per questo motivo nel primo libro scientifico sulla Sindone pubblicato nel 1902 un biologo francese parlò di formazione dell’impronta a distanza. Anche questa idea però decadde in quanto essendo il telo molto sottile, esso non manterrebbe una rigidità necessaria a soddisfare un processo del genere.
Gli studi furono interrotti con la seconda guerra mondiale, ma con l'ostensione del 1978 arrivarono a Torino 3 milioni e mezzo di pellegrini. Alle fine dell’evento la Sindone fu messa a disposizione ad un gruppo di 44 scienziati provenienti da tutto il mondo che effettuarono un progetto di ricerca per 120 ore consecutive facendo delle analisi. Loro cercarono di individuare le sostanze che diedero vita all'impronta corporea ambrata e quelle rosso carminio delle zone ematiche. Osservando le fibre al microscopio constatarono che si trattava di sangue di gruppo AB. Non era stato possibile però analizzare la sostanza ocra che delinea l’alone del corpo in quanto esso è penetrato in modo talmente superficiale nel materiale da renderne impossibile il prelievo. Questo studio permise almeno di escludere l’ipotesi che la Sindone fosse un dipinto realizzato da un pittore, in quanto il colore sarebbe penetrato più a fondo nel lino. L’esperimento che più ha permesso di raggiungere un risultato che avesse le caratteristiche della Sindone, è stato quello compiuto a Frascate vicino a Roma, utilizzando una sorgente laser a eccimeri per un miliardesimo di secondo, onde evitare di perforare il telo. Questo non significa che l’impronta sia stata creata da un laser, ma ha permesso di sottolineare ancora di più le caratteristiche peculiari di questo sacro reperto e soprattutto fece capire che un’ipotesi di radiazione non è da scartare.
La probabilità che questi sette criteri visibili sulla Sindone corrispondano perfettamente a un altro individuo che non fosse Gesù è praticamente nulla anche perché “Chi ad essa si avvicina è, altresì, consapevole che la Sindone non arresta in sé il cuore della gente, ma rimanda a Colui al cui servizio la Provvidenza amorosa del Padre l'ha posta. Pertanto, è giusto nutrire la consapevolezza della preziosità di questa immagine, che tutti vedono e nessuno per ora può spiegare. Per ogni persona pensosa essa è motivo di riflessioni profonde, che possono giungere a coinvolgere la vita.” Quindi per il Santo, la Sindone è un dono fatto dalla provvidenza amorosa del Padre Celeste al Figlio, affinché favorisse la consapevolezza da parte nostra della sua morte e resurrezione, sapendo bene che noi umani siamo restii a credere se non vediamo o non tocchiamo con mano. Inoltre aggiunge, che è impossibile rimanere impassibile davanti a questo telo, ci coinvolge e ci guarda rendendosi capace di cambiare la nostra vita. “È lui che guarda noi e non viceversa” così affermò Papa Francesco al cospetto di questa reliquia portatrice di mistero e dello spirito di Dio.
L’incontro è stato intervallato da tre performance musicali eseguite dai maestri Kayoko Shuto e Roberto Zara, rispettivamente al pianoforte e al violino. A concludere un ringraziamento del parroco Don Emanuele Colombo al professor Barberis e ad Antonello Brivio e Massimo Tavola per l’organizzazione di questi dieci giorni alla riscoperta dell’importanza della persona.
La Sindone è stata a lungo conservata nella cattedrale di Torino, nella cupola in barocco piemontese fatta costruire appositamente per questo scopo dai Savoia a Guarino Guarini nel XXVII secolo. Il telo – ha raccontato il docente – era infatti arrivato nella ex capitale nel 1578, per desiderio del Cardinale Giancarlo Borromeo, ripiegata in una scatola di legno e da qui non si è più mossa, solo in due occasioni fu trasferita una volta a Genova e una in provincia di Avellino. Essa rimase proprietà dei Savoia dal 1453 al 1983, anno in cui Umberto II la donò alla Santa Sede. Da questo momento fu conservata arrotolata su un cilindro e mostrata in occasione delle ostensioni fino al 1990, quando alcune lastre di marmo caddero dal tetto della cappella minacciando di danneggiare il sacro oggetto. Fu deciso quindi di spostare la Sindone nel coro della Cattedrale, dietro l’altare maggiore, in attesa della conclusione dei lavori di restauro. Lavori che però non terminarono mai in quanto nel 1997 scoppiò un terribile incendio che la danneggiò profondamente: solamente il 27 settembre 2018 venne finalmente riaperta al pubblico.
Massimo Tavola, il professor Bruno Barberis, il mastero Antonello Brivo e Roberto Zara
La Sindone però non è più tornata nella sua cappella perché già nel 1998 il Cardinal Saldarini aveva nominato una commissione di esperti internazionale per studiare un modo nuovo per conservarla distesa sulla sua lunghezza di oltre 4 metri. Il professor Barberis ha continuato spiegando che fu realizzata una teca in acciaio con la faccia superiore in vetro che consentisse di guardare all’interno. Gli studiosi avevano inoltre notato che il tessuto in lino si stava scurendo a causa dell’esposizione all’aria, da qui la decisione di sostituire la normale atmosfera con l’argon, un gas inerte che impedisce l’avanzamento processo di deterioramento che renderebbe difficile in futuro distinguere l’immagine sul telo. Questa teca mantiene oltretutto una temperatura costante di 20 gradi e con un’umidità relativa del 50% evitando sbalzi tra la pressione interna ed esterna. L’unico problema – è stato spiegato – è rappresentato dalla luce che passa attraverso la parete in vetro che non va d’accordo con la conservazione di un oggetto così antico. Per questo motivo è stata messa al sicuro in un sarcofago fatto di materiale ignifugo nella cappella posta nella navata sinistra del Duomo di Torino. Queste due protezioni vengono aperte una volta all'anno per sostituire il gas o per occasioni straordinarie come ostensioni o l'arrivo di personaggi illustri.
Roberto Zara e Kayoko Shuto
Sulla Sindone sono presenti svariati segni che raccontano la sua storia. I più evidenti sono quelli causati dall’incendio di Chambery del 1532, mentre quelli più significativi sono relativi alla doppia impronta lasciata da un corpo umano: la parte anteriore sulla parte sinistra mentre la posteriore sulla metà destra del telo, facendo nascere subito un’ipotesi di avvolgimento di un cadavere al suo interno. Durante l’ostensione del 24 maggio 1998 San Giovanni Paolo II in quell’occasione fece una riflessione: “La Sindone è provocazione all'intelligenza. Essa richiede innanzitutto l'impegno di ogni uomo, in particolare del ricercatore, per cogliere con umiltà il messaggio profondo inviato alla sua ragione ed alla sua vita. Il fascino misterioso esercitato dalla Sindone spinge a formulare domande sul rapporto tra il sacro Lino e la vicenda storica di Gesù. Non trattandosi di una materia di fede, la Chiesa non ha competenza specifica per pronunciarsi su tali questioni. Essa affida agli scienziati il compito di continuare ad indagare per giungere a trovare risposte adeguate agli interrogativi connessi con questo Lenzuolo che, secondo la tradizione, avrebbe avvolto il corpo del nostro Redentore quando fu deposto dalla croce. La Chiesa esorta ad affrontare lo studio della Sindone senza posizioni precostituite, che diano per scontati risultati che tali non sono; li invita ad agire con libertà interiore e premuroso rispetto sia della metodologia scientifica sia della sensibilità dei credenti”.
È da queste parole che Barberis ha preso spunto per il titolo e la tematica di questa conferenza, domandandosi come un manufatto così semplice possa aver provocato – e ancora provocare – una moltitudine di domande a cui non si riesce ancora a dare una risposta definitiva nonostante gli innumerevoli studi compiuti negli anni. Nel 1898 la realizzazione di un negativo della sindone, permise negli anni 30 e 40 di compiere degli studi scientifici simulando un’autopsia su una fotografia che permise di comprendere se le caratteristiche su di essa presenti fossero state davvero lasciate da un essere umano. Sicuramente si tratta di un’impronta umana perché sono distinguibili delle macchie di sangue che risultano dalla crocifissione, una pratica molto usata dai romani. Venne esclusa però una delle prime ipotesi formulata, una delle più semplicistiche, ovvero che l’alone del corpo fosse risultato da contatto diretto. Questa supposizione non tiene però conto che il corpo umano è curvo, non ha una superficie piatta come quella della Sindone, quindi una volta che il telo viene sollevato dal corpo la sagoma di esso dovrebbe risultare allungata e deformata sul tessuto, sulla Sindone questo non succede, l’impronta è perfetta. Per questo motivo nel primo libro scientifico sulla Sindone pubblicato nel 1902 un biologo francese parlò di formazione dell’impronta a distanza. Anche questa idea però decadde in quanto essendo il telo molto sottile, esso non manterrebbe una rigidità necessaria a soddisfare un processo del genere.
Gli studi furono interrotti con la seconda guerra mondiale, ma con l'ostensione del 1978 arrivarono a Torino 3 milioni e mezzo di pellegrini. Alle fine dell’evento la Sindone fu messa a disposizione ad un gruppo di 44 scienziati provenienti da tutto il mondo che effettuarono un progetto di ricerca per 120 ore consecutive facendo delle analisi. Loro cercarono di individuare le sostanze che diedero vita all'impronta corporea ambrata e quelle rosso carminio delle zone ematiche. Osservando le fibre al microscopio constatarono che si trattava di sangue di gruppo AB. Non era stato possibile però analizzare la sostanza ocra che delinea l’alone del corpo in quanto esso è penetrato in modo talmente superficiale nel materiale da renderne impossibile il prelievo. Questo studio permise almeno di escludere l’ipotesi che la Sindone fosse un dipinto realizzato da un pittore, in quanto il colore sarebbe penetrato più a fondo nel lino. L’esperimento che più ha permesso di raggiungere un risultato che avesse le caratteristiche della Sindone, è stato quello compiuto a Frascate vicino a Roma, utilizzando una sorgente laser a eccimeri per un miliardesimo di secondo, onde evitare di perforare il telo. Questo non significa che l’impronta sia stata creata da un laser, ma ha permesso di sottolineare ancora di più le caratteristiche peculiari di questo sacro reperto e soprattutto fece capire che un’ipotesi di radiazione non è da scartare.
Sono state fatte tantissime altre supposizioni ed esperimenti: si pensò che la Sindone fu realizzata con un pirografo da un’artista che desiderava realizzare il suo ritratto, furono compiuti degli studi con un microscopio a scansione per analizzare i granelli di polline incastrati fra le fibre che confermarono la provenienza del manufatto dai deserti della Palestina e Anatolia. Nel 1977 dei fisici americani scannerizzarono per la prima volta la foto della sindone riuscendo a calcolare l’intensità luminosa di ogni pixel dell’immagine. Li trasmisero al computer e calcolando la distanza tra volto e telo ottennero una sagoma in 3D. Questo risultato non si ottiene eseguendo la stessa procedura su un’immagine normale. Oltretutto la figura umana ricavata risulta simile all’iconografia con la quale dal quarto secolo viene raffigurato Gesù, dimostrando così che la Sindone era già conosciuta e circolava a quel tempo. Datare un telo però non è facile in quanto il 100% della sua superficie è esposta all'ambiente e quindi estremamente inquinato. Infatti quando nel 1988 con il metodo del radiocarbonio, la Sindone fu datata al 1260-1390 D.C., dichiarando quindi che si trattava di un falso medievale, esso fu immediatamente polemizzato come inattendibile. Da molti però fu comunque reputato veritiero perché non è stato possibile ripetere l’esperimento in quanto il processo di analisi avviene per combustione, quindi andando a consumare il reperto. Gli studi infatti vanno perseguiti in maniera rispettosa perché, come affermato ancora da San Giovanni “Ciò che soprattutto conta per il credente è che la Sindone è specchio del Vangelo. In effetti, se si riflette sul sacro Lino, non si può prescindere dalla considerazione che l'immagine in esso presente ha un rapporto così profondo con quanto i Vangeli raccontano della passione e morte di Gesù che ogni uomo sensibile si sente interiormente toccato e commosso nel contemplarla”. È sufficiente però questa analisi approssimativa per concludere che l’uomo che ha lasciato la sua impronta sul telo sia proprio Gesù e non uno dei tanti della storia? La risposta fu sviluppata da studiosi francesi all’inizio dello scorso secolo utilizzando il calcolo delle probabilità.
L’incontro è stato intervallato da tre performance musicali eseguite dai maestri Kayoko Shuto e Roberto Zara, rispettivamente al pianoforte e al violino. A concludere un ringraziamento del parroco Don Emanuele Colombo al professor Barberis e ad Antonello Brivio e Massimo Tavola per l’organizzazione di questi dieci giorni alla riscoperta dell’importanza della persona.
I.Bi.