Bancarotta Diana: l'amministratore spiega l'accaduto, si sperava in una acquisizione

Come già fatto dinnanzi al curatore fallimentare, anche al cospetto del collegio giudicante del Tribunale di Lecco - presidente Bianca Maria Bianchi, a latere Martina Beggio e Gianluca Piantadosi - ha pacificamente ammesso di aver contribuito alla gestione della società, fornendo poi la propria ricostruzione dell'accaduto, con l'intento di dimostrare la buona fede del proprio operato e dunque la propria estraneità alle accuse formulate a suo carico.

E' ripreso quest'oggi in Tribunale a Lecco il procedimento penale intentato nei confronti di Jeder Giulio Alacchi quale amministratore di fatto della Rue Royal Diana, la celebre società meratese produttrice di costumi da bagno, dichiarata fallita nel 2017. Bancarotta fraudolenta l'ipotesi di reato formulata a carico dell'uomo, classe 1979, in riferimento tanto alla mancata tenuta delle scritture tanto ad una supposta distrazione legata ad un contratto d'affitto di ramo d'impresa stipulato con la Sport Trading, altra impresa a lui riconducibile, anch'essa poi fallita, costituita per proseguire l'attività della Diana come spiegato dallo stesso Alacchi, ricostruendo le vicissitudini iniziate nel 2015 quando, tramite unv notaio meratese venne messo in contatto con la famiglia Bechis, titolare della "freccia delle piscine".

"Ci siamo avvalsi di un advisor di Milano per capire se si trattasse o meno di una buona operazione" ha riferito l'imputato, parlando per l'appunto dell'acquisizione della società, rivelatasi però "completamente in dissesto", con le reale condizioni, a suo dire, comprese solo una volta entrati in azienda, ad accordo dunque già fatto e mai contestato - ha sottolineato - dai Bechis pur essendosi riservati la possibilità di tornare in possesso delle quote sociali qualora gli acquirenti avessero mancato la corresponsione di anche una sola delle rate pattuite.

La svolta sarebbe dovuta arrivare dalla cessione a un competitor, interessato ad acquisire marchio e attività produttiva, mai però concretizzatasi (se non a seguito del fallimento, con, appunto, "la freccia" aggiudicata poi ad Arena) con la produzione nel frattempo proseguita tramite appunto la Sport Trading che, come argomentato dal curatore fallimentare, sentito oggi come testimone, avrebbe sì omesso il pagamento alla Diana di 117.000 euro per canoni di locazione, facendosi però carico al contempo di 438.000 euro di debiti dell'altra società, in un "maldestro tentativo di portare avanti un'attività molto bella", per dirla con l'espressione scelta dal dottor Bianchi.

Tornando a Alacchi, l'imputato ha addossato all'amministratore di diritto della Rue Royal Diana, già uscito di scena patteggiando, la scelta di stipulare un contratto - non onorato, con il passaggio mai di fatto registrato - di cessione del marchio alla Sport Trading, ricordando come marchio e capannone di Olgiate fossero il tesoretto della società, stimati in due milioni di euro ciascuno, cifra sufficiente qualora si fossero concretizzate le trattative con il competitor a ripianare quel buco rimasto invece in capo al fallimento.

Il 15 giugno il proseguo.

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