Merate: Silvia Pinelli ricorda il padre ''Pino'' Convegno Anpi sulla strategia della tensione

"Dobbiamo far di tutto per abolire la strategia della tensione, spesso utilizzata per incutere terrore nell'opinione pubblica. E' invece necessario impegnarsi a tutelare la Costituzione, diffondendo i suoi valori di libertà e democrazia su tutto il territorio, partendo dalle piccole realtà, e non solo nei momenti di campagna elettorale. Purtroppo il fascismo non è morto e ce ne rendiamo conto anche oggi". Sono state queste le parole con cui ha esordito la dottoressa Silvia Pinelli nella serata di venerdì 17 febbraio, al terzo appuntamento organizzato da ANPI Brianza Meratese sul tema "Neofascimo e strategia della tensione".

Marisa Bandini direttivo ANPI Lecco, Silvia Pinelli, Fulvio Magni direttivo ANPI Brianza Merate


La dott.ssa Pinelli ha portato in sala civica di Merate la sua testimonianza in memoria del padre, l'anarchico Giuseppe "Pino" Pinelli, di cui è stato proiettatto il film documentario a lui dedicato, intitolato "Pino, vita accidentale di un anarchico". Nato a Milano il 21 ottobre del 1928, nel popolare quartiere di Porta Ticinese, partecipa nel 1944-1945 alla Resistenza antifascista come staffetta delle Brigate partigiane Bruzzi-Malatesta, collaborando anche con un gruppo di partigiani anarchici. Affascinato dal pensiero libertario, dopo la fine della guerra Pinelli partecipa alla crescita del movimento anarchico a Milano. Nel frattempo, nel 1954 "Pino" vince un concorso ed entra nelle ferrovie come manovratore. L'anno successivo si sposa con Licia Rognini, incontrata ad un corso di esperanto. L'evento che cambierà la vita a Pinelli, anzi che metterà fine alla vita di Pino, è la strage di piazza Fontana: il 12 dicembre 1969 a Milano nella sede della Banca Nazionale dell'Agricoltura scoppia una bomba che causa la morte di sedici persone e il ferimento di altre ottantotto. A seguito di questa strage, quella stessa notte, Pinelli, assieme ad altre ottantaquattro persone, è prelevato dal Circolo di via Scaldasole e portato in Questura. Tre giorni dopo, Pinelli precipita dalla finestra di una stanza dell'ufficio politico, al quarto piano della Questura.


La morte di Pinelli è una storia complicata, non a caso si parlerà di "Pino" come la diciottesima vittima della strage di piazza Fontana. Molte sono le incongruenze che subito fanno pensare all'omicidio. Ufficialmente, secondo le versioni date dalla Questura, Pinelli si sarebbe suicidato. Queste furono le parole del questore Marcello Guida nella conferenza stampa subito dopo la morte dell'anarchico: «Improvvisamente il Pinelli ha compiuto un balzo felino verso la finestra che per il caldo era stata lasciata socchiusa e si è lanciato nel vuoto». Il gesto fu dovuto dal fatto che il suo alibi si era rivelato non vero (versione che poi fu ritrattata data la credibilità dello stesso). Molte furono però le incongruenze che portarono diversi giornalisti ad indagare sulla possibilità di un omicidio, dalla dinamica della caduta alle versioni incongruenti fornite dagli agenti durante gli interrogatori. La storia di Pinelli, seppur conclusa per la magistratura, resta un punto interrogativo che inquieta e che puntualmente ricompare ogni anno nelle celebrazioni degli anniversari della strage di piazza Fontana. In ambienti anarchici a tutt'oggi la figura di Pinelli è presa a simbolo dell'opposizione al potere costituito e in particolare al potere poliziesco. Il 9 maggio del 2009, nel "Giorno della Memoria", il Presidente della Repubblica Giorgio Napolitano commemorò oltre alle vittime di piazza Fontana anche Giuseppe Pinelli, definendolo "vittima due volte, prima di pesantissimi infondati sospetti e poi di un'improvvisa, assurda fine".


Della storia dell'anarchico Giuseppe "Pino" Pinelli restano, oltre alle parole della magistratura, anche quelle della vedova. Parole pesanti, che come un macigno appesantiscono ancora più le vicende della cosiddetta "strategia della tensione": "Pino è stato il granellino di sabbia che ha inceppato un meccanismo. La sua morte è stata un infortunio sul lavoro, per loro sarebbe stato più comodo metterlo in galera con gravi imputazioni e tenerlo per anni, come Valpreda. Invece gli è successo questo infortunio e lì l'opinione pubblica ha cominciato a capire".
Matteo Pennati
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