Foibe e fobie: Sulla celebrazione del 'Giorno del Ricordo'

Egr. Direttore. Il Giorno del Ricordo, come ogni anno, seppellisce sotto una spessa coltre di ipocrisie le nefandezze compiute dagli italiani durante l'occupazione della jugoslavia in combutta con le truppe germaniche agli ordini di Hitler. L'istituzione di questa ricorrenza/celebrazione (Legge 30 marzo 2004, n.92) a poca distanza di giorni dalla "Giornata della Memoria costituisce l'evidente tentativo di accostare la Shoah, in quanto crimine nazista, alle foibe, in quanto crimine comunista. Lo scorso anno, le sguaiate celebrazioni del Giorno del Ricordo da parte del sindaco di Trieste Roberto Di Piazza, ("eccidio di massa compiuto dalla bestie di Tito", "tutti questi nostri connazionali sono stati vittime dei carnefici partigiani comunisti di Tito che a guerra finita hanno perpetrato violenze, torture, morte, gettando connazionali della Venezia Giulia e della Dalmazia in queste voragini per avere la sola colpa di essere italiani".), mentre intorno alla foiba di Basovizza, era tutto un tripudio di labari, insegne della RSI , teschi della X Mas con tanto di virile coreografia della galassia nera a supporto, erano la prova che si voleva proprio andare in quella direzione. E pensare che nelle intenzioni dei promotori, l'istituzione del Giorno del Ricordo doveva servire a formare una "memoria condivisa" sulla vicenda delle foibe!

Era il 6 aprile 1941 quando gli eserciti italiano e tedesco aggredirono e invasero la Jugoslavia dividendone il territorio in zone di occupazione. Sebbene la presenza dell'Italia fascista nei Balcani abbia superato di poco i due anni i crimini e le devastazioni di cui si sono rese responsabili le truppe di occupazione hanno superato per ferocia e sistematicità quelle perpetrate in Libia e in Etiopia:incitamento all'odio, italianizzazione rapida e forzata, fucilazioni di civili, secondo il maggiore Agueci ,"gli Sloveni dovrebbero essere ammazzati tutti come cani e senza pietà", deportazioni di massa, incendi e saccheggi di città e villaggi. "Durante l'occupazione dall'11 /04/1941 all'8/09/1943, gli invasori italiani, nella sola provincia di Lubiana, hanno fucilato 1000 ostaggi, ammazzato proditoriamente oltre 8000 persone (...) incendiato 3000 case, deportato nei vari campi di concentramento in Italia oltre 35.000 persone, devastato 800 villaggi, pronunciato molteplici condanne all'ergastolo e alla reclusione, tanto che nel solo campo di Arbe perirono più di 4500 persone" (Costantino Di Sante "Italiani senza onore. I crimini in Jugoslavia e i processi negati", Verona, 2005, p.103). "Si ammazza troppo poco" sentenziava il generale Mario Robotti, comandante dell'XI corpo d'armata di stanza in Slovenia. Eppure, nessuno dei 750 criminali di guerra italiani denunciati dalla Commissione di Stato jugoslava e iscritti nelle liste delle Nazioni Unite alla fine della guerra, fu mai processato da un tribunale nazionale o internazionale. La violenza della repressione italiana aveva ben poco da invidiare a quella messa in atto dalle SS tedesche nella nostra penisola. La tragedia delle foibe si inserisce in questo contesto, piaccia o non piaccia, lo dico non per giustificare il seguito di vendette e rimozioni, per le quali già da anni la storiografia antifascista ha messo da parte antichi tabù e imboccato la strada di ricostruzioni condotte con rigore e oggettività, ma per indicare nella corretta comprensione e nel rigoroso accertamento dei fatti l'unica strada percorribile per non lasciar spazio alle facili congetture, alle indebite e strumentali forzature dei numeri, insomma all'uso distorsivo della storia, fatta a pezzi per ragioni d'immediata spendibilità politica. Prendo atto che le osservazioni del ‘Seniores' di Forza Italia (Merateonline,03/02/2023) sono perfettamente in sintonia con l'interpretazione che la Destra nostalgica ha dato, nel secondo dopoguerra, del Trattato di pace di Parigi del 10 febbraio 1947, in cui il nostro Paese, uscito sconfitto dal conflitto, subì amputazioni territoriali e la popolazione italiana fu oggetto, a vostro dire, di una pulizia etnica, che la storiografia "ha dimostrato che non ci fu" (Davide Conti, "Sull'uso pubblico della storia", Udine, 2021, p.27). Elevare un avvenimento, un fatto, un evento, a misura e valutazione di un complesso di vicende che di quel fatto hanno costituito cornice e orizzonte geografico e temporale, significa aprire la strada a quei veri e propri obbrobri della storiografia e della pubblicistica a tema, costruiti mettendo in fila crimini, misfatti e aberrazioni senza provvedere ad accompagnarli con il benché minimo apparato critico, avendo in mente solamente di menar fendenti contro gli avversari di diversa fede politica o di opposto schieramento ideologico. I fatti e gli eventi della storia, per essere pienamente compresi, vanno collocati e ricordati dentro la loro cornice, nel nostro caso, quella dell'occupazione fascista prima, della guerra e dell'invasione tedesca dopo.
Invito il Sig. Patuzzi a leggere la Relazione che la commissione mista di storici italo-slovena ha consegnato nell'anno 2000 ai rispettivi ministeri degli esteri, contenente ipotesi interpretative dei rapporti tra i due popoli alle quali si è giunti con ‘spirito di serena ricerca', in cui la questione delle foibe è posta nel quadro di una organica contestualizzazione e tenendo conto dei risultati acquisti dalla storiografia sull'argomento.

Nell'intervento del ‘Seniores' di F.I, incombe ancora il mito degli ‘italiani brava gente', un mito duro a morire, pericoloso e speculare al silenzio del passato sul dramma delle foibe e dell'esodo, pericoloso perché spinge a dimenticare le responsabilità storiche del regime fascista, le sue politiche del terrore, dello sterminio sistematico, le sofferenze inflitte alle popolazioni civili dell'Etiopia della Libia della Grecia, della Somalia, dell'Albania della Jugoslavia e dell'Italia. Se il proposito di una ‘memoria condivisa' è, per ora, miseramente fallito, si eviti di eludere ogni serio esame di coscienza sul proprio passato (fobia), consegnando, in occasione del Giorno del Ricordo, una ‘memoria dimezzata'. Cordialmente.

Alberto Magni. Segreteria Anpi Provinciale - Lecco
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