Cernusco e Montevecchia omaggiano il fante Paolo Cogliati, deportato a Küstrin
Paolo Cogliati
La storia di Paolo Cogliati, nato a Montevecchia il 6 maggio 1924 dimostra che l'umanità non aveva ancora toccato il fondo. Crebbe durante il ventennio fascista e, ancora 19enne, nel 1943, fu chiamato alle armi nel 43° Reggimento di fanteria di stanza ad Alba, in Provincia di Cuneo, dove era da poco arrivato per il C.A.R. (Centro Addestramento Reclute). Arrivò l'8 settembre e l'improvviso armistizio proclamato da Badoglio che ribaltò i rapporti bellici con la Germania nazista. I tedeschi, fino a quel momento al fianco dei soldati italiani erano diventati i nemici. In quella grande confusione politica e sociale, in un'Italia stremata dalla guerra, decidere cosa fare e con chi stare era una drastica scelta, di vita o di morte. Rinnegare la divisa e unirsi alla lotta partigiana o restare nell'esercito. In entrambi i casi si poteva restare uccisi o imprigionati dai tedeschi.
Il 19enne montevecchino in quelle giornate concitate era ancora un soldato italiano. E così tre giorni dopo l'8 settembre finì nelle mani dei tedeschi. L'11 settembre venne deportato in Polonia, al confine con la Germania, nel campo di prigionia di Küstrin che deteneva oltre agli italiani anche i francesi, i belgi, gli inglesi, ma soprattutto i russi. Paolo Cogliati lì dentro era considerato come il numero 37878, che gli venne tatuato sul braccio sinistro.
Di indelebile nella mente gli rimase da sopravvissuto molto di più. I ricordi dei lavori forzati, del misero cibo distribuito soltanto di sera, se andava bene. Arrivò a pesare 32 chili. Di quella esperienza traumatica molto tenne per sé. I primi tempi da uomo libero, una volta che tornò a Montevecchia nell'estate del 1945, il turbamento era ancora troppo forte. I familiari che lo riaccolsero tra la gioia a casa avrebbero poi raccontato che nei primi mesi Paolo volle dormire di notte all'aperto e solo il rigido inverno lo convinse ad addormentarsi dentro le mura domestiche.
Il riconoscimento consegnato dal prefetto Sergio Pomponio alla presenza dei sindaci Ivan Pendeggia
di Montevecchia e Gennaro Toto di Cernusco ai figli Rodolfo, Marino e Renato
L'incubo ad occhi aperti a Küstrin finì nel febbraio del 1945, dopo giornate di bombardamenti, quando i soldati tedeschi abbandonarono il campo ripiegando verso la Germania. Il travaglio però non era ancora finito. Scappato nelle campagne Paolo Cogliati riuscì a salvarsi dalle bombe russe, le cui truppe avanzavano verso occidente. Anni dopo raccontò ai famigliari di essersi anche protetto all'interno di un cratere generato dallo scoppio di una granata, riuscendo anche a ripararsi per tre giorni insieme ad altri due commilitoni facendosi scudo con un cavallo abbattuto, che diventò un elemento di protezione ma anche una fonte di nutrimento.
Gli aneddoti su questa delicata fase sono molteplici. I figli di Paolo li rievocano così: "Vennero raggiunti da una soldatessa russa a cavallo ed armata di mitra e granate che ordinò loro di non muoversi per nessun motivo. Promise che qualcuno avrebbe provveduto per il cibo, e così fu. Per giorni passarono carri armati, camion, uomini, cavalli, muli carichi e cannoni: era l'esercito russo diretto a Berlino".
Il fante Paolo Cogliati scese stremato e senza più energie in corpo alla stazione ferroviaria di Cernusco Merate nell'estate del 1945. Fortunatamente trovò un suo compaesano che lo portò a Montevecchia sul suo carro agricolo. Poté finalmente riabbracciare i suoi cari, ad eccezione del fratello maggiore l'alpino Camillo, rimasto disperso in Russia.
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