Osnago: Gabriele Fontana a La Lo.Co narra la storia degli Alpini sul fronte russo

"Spesso in Italia si ricorda il 27 gennaio come giornata in memoria delle sole vittime dell'Olocausto. Vengono quindi dimenticati i migliaia di soldati e Alpini che eroicamente vennero imprigionati e persero la vita in una guerra folle e logorante". Con queste parole Gabriele Fontana - collaboratore dell'Istituto Bergamasco di storia della Resistenza e dell'età contemporanea - ha dato inizio all'incontro tenutosi nella serata di giovedì 26 gennaio presso il Circolo Arci di Osnago, mirato a raccontare, anche attraverso slide e video, storie di Alpini nella spedizione in Russia.


Gabriele Fontana

La campagna italiana di Russia durante la Seconda Guerra Mondiale fu la partecipazione militare del Regno d'Italia all'Operazione Barbarossa, lanciata dalla Germania nazista contro l'Unione Sovietica nel 1941. Sebbene Hitler non avesse mai chiesto il supporto militare dell'alleato fascista, Mussolini volle a tutti i costi prendere parte alla spedizione: dall'agosto 1941 al gennaio 1943 il Corpo di Spedizione italiano in Russia (CSIR), riunito poi nel 1942 nell'8^ Armata o ARMIR (Armata Italiana in Russia), fu inviato e schierato a fianco dell'esercito germanico. I combattimenti procedono spediti e con numerose vittorie. I tedeschi di Hitler avevano come obiettivo quello di eliminare i nemici e spingersi sempre più all'interno dell'URSS, mentre gli italiani cercavano di "colonizzare" le terre sottomesse, sfruttando forza lavoro e rifornimenti. Dai primi mesi del 1942, la povertà economica e alimentare che dilagava in Italia colpì anche il regimento in spedizione. Negli ultimi mesi del 1942 l'Asse iniziò a rallentare: i russi in ritirata iniziarono a bruciare i paesi in modo da non lasciare rifornimenti ai tedeschi e il freddo si rivelò essere il nemico peggiore.



Tra la fine di dicembre 1942 e il gennaio 1943 - è stato raccontato nel corso della serata - ebbe inizio la grande offensiva lanciata dai Sovietici sull’ansa del Don, che culminò con lo sfondamento del fronte e l’odissea della ritirata nella steppa innevata delle centomila gavette di ghiaccio (titolo dato alla ritirata dal sopravvissuto alpino Giulio Bedeschi). Le Penne Nere, però - ha spiegato l'ospite della serata - a riprova della loro forza d’animo e della loro combattività, costrinsero gli attaccanti, superiori sia in uomini che in armamenti, a soffrire un numero spaventoso di caduti, tra morti, feriti e dispersi, tanto da impressione lo stesso comando tedesco che, nel Bollettino di Guerra del 29 dicembre 1942, ricordò come “nei contrattacchi difensivi della grande ansa del Don si è particolarmente distinta la Divisione Alpina italiana Julia”. Ebbe così inizio il lento ripiegamento, con colonne lunghe chilometri e costituite da migliaia di soldati che marciavano stanchi e sfiniti nella steppa gelata. Il 26 gennaio 1943, poi, l’ultimo combattimento, quello di Nikolajewka, dove gli ultimi resti delle forze italiane, tedesche e ungheresi, per quasi dieci lunghe ore di duri combattimenti, riuscirono a rompere definitivamente l’accerchiamento delle forze russe e ad evitare l’annientamento totale.


Alpini diretti in Russia

Dal giorno dell’inizio della campagna di Russia erano passati meno di 600 giorni. Quella tragica guerra, voluta per dimostrare la fedeltà all’alleato tedesco, era costata 84 mila uomini, tra morti e dispersi e circa 30 mila feriti e congelati. Il contingente alpino perse il 60 per cento degli effettivi. Circa 70 mila furono i soldati italiani fatti prigionieri durante la ritirata. La gran parte di loro morì di stenti, di fame, di malattie e non riuscì neppure a raggiungere i campi di internamento, dove li attendevano condizioni disumane. I soldati che riuscirono a tornare in Italia, nel marzo del 1943, trovarono un paese piegato dalla guerra, in preda allo sconforto. In molti, memori delle prepotenze subite dai tedeschi, presero posto nella Resistenza e combatterono per una Nuova Italia.


Grande Ritirata

Gabriele Fontana, nel corso della serata, ha voluto dedicare immagini, video e canzoni ai caduti della guerra, ma ha anche ricordato diversi Alpini che riuscirono a tornare salvi in patria. Tra questi: Nuto Revelli, ufficiale effettivo degli Alpini durante l'offensiva del Don, scrittore e partigiano; Giulio Bedeschi, alpino, medico e scrittore; l'alpino Mario Rigoni Stern che scrisse "Il sergente nella neve" e venne riconosciuto come uno dei più grandi scrittori italiani da Primo Levi; Teresio Olivelli, partigiano insignito di medaglia d'oro al valor militare alla memoria.


Guido Rampini

Altro alpino a cui è stata data particolarmente importanza, per via delle gesta e dell'onore che lo ha contraddistinto, è Guido Rampini. All'età di diciannove anni aveva partecipato alla Prima guerra mondiale e si era quindi dato alla carriera militare. Tra il 1939 e il 1941, l'ufficiale fa parte del Servizio informazioni presso lo Stato maggiore dell'Esercito e nel 1942, col grado di tenente colonnello, è in Russia, sempre al Servizio informazioni. Anche quando, nel 1943, rientra in Italia gli è assegnata la direzione dell'Ufficio informazioni del Comando del Corpo di Stato Maggiore. Al momento dell'armistizio, Rampini si trova a Padova e nel marasma generale decise di utilizzare le sue conoscenze di "intelligence" a sostegno della Resistenza. Si spostò a Torino, dove organizzò un'efficiente rete informativa in collegamento con gli Alleati. Ma l'ufficiale vienne tradito. Arrestato, Rampini venne prima deportato in Germania, poi incarcerato in Italia e sottoposto a stringenti interrogatori, tuttavia non rivelò nulla dell'organizzazione. Venne fucilato nella caserma "Seriate" di Bergamo, un mese e mezzo prima della Liberazione.

"È la tragedia della guerra quella che emerge dalle storie dei reduci della Campagna di Russia, una sciagurata operazione militare che costrinse un'intera generazione di soldati a fare una guerra non voluta e a soccombere al rigore dell’inverno, all’avventatezza dei governanti dell’epoca e ai colpi dell’armata sovietica. Per questo motivo trovo giusto ricordare non solo le vittime dell'Olocausto, ma anche i migliaia di giovani italiani che, per colpa del fascismo scellerato, persero eroicamente la propria vita in guerra" ha concluso Gabriele Fontana.
M.Pen.
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