Sulla cattura di Messina Denaro andiamoci piano con gli entusiasmi

Abbiamo appena potuto vedere sui media locali alcuni comunicati di varie realtà istituzionali territoriali che hanno sottolineato con soddisfazione e qualche accenno entusiastico la cattura di quello che viene definito anche dalla “gran cassa mediatica”, non solo nazionale, “l'ultimo grande boss” di Mafia.

Come non essere d'accordo nel condividere tale soddisfazione ma, al contempo, come azzerare l'esercizio indispensabile della memoria sulle - usando un eufemismo - “ombre” dell'operato di alcune nostre istituzioni anche di vertice, riscontrate nel tempo e in plurime occasioni?

E senza giragli troppo intorno, quale coerenza potrebbe avere uno Stato che si limitasse ad interrogarsi sull'omertà e sulla connivenza diffusa ad esempio in certi strati del tessuto sociale che avrebbero consentito 30 anni di latitanza, se lo stesso interrogativo non se lo ponesse, a maggior ragione, su sue non poche attività istituzionali e politiche che hanno di fatto tollerato se non addirittura protetto in passato queste latitanze, come anche processualmente comprovato, ad esempio, nei confronti di Bernardo Provenzano?

Prendo spunto da un passaggio rilevato da uno di questi comunicati locali allorquando invita al “doveroso riflettere sulla circostanza per cui Messina Denaro sia stato arrestato proprio “a casa sua”, a Palermo ...” e così proseguendo:

Quanto sopra impone una risposta all'interrogativo circa il peso del silenzio e dell'omertà, comune in tutta Italia, che può essere scalfito solo attraverso la sensibilizzazione della cittadinanza, rafforzando la convinzione che le Istituzioni e gli Enti Locali non si piegano alle logiche criminose...”.

Ma agli occhi di ogni cittadino responsabile la credibilità di uno Stato e delle sue Istituzioni, a tutti i livelli, non risiede soprattutto nel rimuovere tutte le zone d'ombra di certi suoi apparati che la storia di anni del nostro martoriato Paese ha fotografato come conniventi?

Il tanto celebrato, purtroppo a volte solo a parole, Giovanni Falcone sosteneva che nella lotta alla mafia non si può pretendere l'eroismo da inermi cittadini se lo Stato non impegna le sue parti migliori nel combatterla.

E ancor di più se addirittura lascia isolare proprio coloro che si stanno battendo realmente per contrastarla.

Ecco perché più che retoriche commemorazioni dei morti, pur necessarie, occorrono tutele a supporto dei vivi che ad esempio continuano pervicacemente, a nome di tutti noi, nel cercare di combattere giorno per giorno le Mafie ed in particolare di dipanare, spesso scherniti, il groviglio della cosiddetta trattativa Stato-mafia.

Ecco perché la cattura di Messina Denaro non chiude ma semmai apre sperabilmente l'ultimo capitolo di questa già comprovata Trattativa ( più sotto solo alcune ineludibili documentazioni).

Ed ecco perché già l'anno scorso avevo lanciato, sinora infruttuosamente, un appello a livello dei Comuni della nostra Provincia per perorare, come concreto gesto di vicinanza (non certo l'unico possibile), la concessione della cittadinanza onoraria ai magistrati Nino di Matteo e Nicola Gratteri (più sotto precedenti miei articoli), che peraltro l'Amministrazione Comunale Oggionese sta seriamente considerando.






Miei precedenti articoli :




Germano Bosisio
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