Mandic: il dottor Gianlorenzo Scaccabarozzi del Di.Fra. saluta i colleghi dopo 30 anni. Ora l’insegnamento
"Andrò avanti con l'attività accademica avviata all'inizio dello scorso ottobre come docente a contratto - ha spiegato il dottor Scaccabarozzi - Successivamente sono diventato docente straordinario all'Università Bicocca, che ha insediato la cattedra di Medicine Cure Palliative alla ASST di Lecco". Spetta a lui dunque il compito di introdurre ora questa nuova disciplina anche nell'ambito degli ordinamenti didattici, sia nei corsi di laurea che nelle scuole di specializzazione.
Proprio su questo tema, il medico ha detto: "C'è stato un grande lavoro fatto con il Ministeri in questi anni, abbiamo fatto in modo che diventasse una disciplina di insegnamento. È importante costruire tra le tante competenze del sistema professionale anche l'attenzione alla persona e alle problematiche etiche legate alla malattia complessa".
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Nonostante ciò, per il dottor Scaccabarozzi si tratta comunque in parte della fine di un lunghissimo percorso iniziato nel 1992 a Merate sviluppando un particolare tipo di approccio al malato che gradualmente è divenuto un modello normato, anche grazie a 20 anni di lavoro al Ministero, e che poi si è sviluppato in tutta la provincia, la regione e la nazione. Un lavoro incredibile per cui viene spontaneo chiedersi se era immaginabile che avrebbe portato a questi livelli di eccellenza.
"Non è una questione di immaginare o meno un percorso - ha risposto il dottor Scaccabarozzi - l'importante è avere come modello l'adattamento dell'organizzazione ai bisogni. Il percorso che noi abbiamo fatto è iniziato quando i bisogni erano molto diversi, ma dopo la transizione demografica, l'invecchiamento della popolazione e il fatto che le persone hanno iniziato a vivere più a lungo ma con più malattie e perdita di autonomia, si è delineato un bisogno diverso e una figura di malato che non è più l'acuto, bensì il cronico che passa lunghi anni in condizioni di disabilità, ma che può tuttavia essere efficacemente curato fuori dall'ospedale dato che ci guadagna in qualità di vita. Questa è stata l'intuizione che abbiamo avuto nel 1992. Abbiamo perseguito gli obiettivi creando le condizioni perché si realizzasse un modello, che poi si è rivelato efficace ed è stato assunto come riferimento nazionale. Quello che è stato importante è che si siano create una visione e una squadra di professionisti secondo una logica non solo multidisciplinare, ma anche multiprofessionale. Questa logica di lavorare in squadra secondo piani di cura personalizzati nell'ambiente di vita più idoneo (domicilio, hospice, struttura per anziani) ha creato le premesse per sviluppare questo lungo percorso. Ora il tema è molto attuale, si può dire che nel 1992 siamo stati un po' i pionieri. È stato un lavoro grosso che ha valorizzato anche il nostro presidio a Merate, dove la sede del dipartimento è rimasta e continua a essere alimentata da storia, conoscenza, cultura ed entusiasmo. È stata abbastanza commovente l'occasione dell'incontro che abbiamo fatto nei giorni scorsi, perché abbiamo un po' recuperato il senso umano e professionale di questa avventura".
È stato dunque un percorso, un'avventura, a tratti forse una sfida che però ha portato a grandi risultati e a nessun rimpianto. Alla domanda "c'è qualcosa che avrebbe voluto realizzare e non riuscito?" infatti il dottor Scaccabarozzi ha risposto no senza indugio: "In questi anni siamo riusciti a raggiungere obiettivi partendo da un confronto sui risultati con le direzioni strategiche e con il programmatore. È in funzione di questo che abbiamo costruito. Era importante misurare l'efficacia di quello che stavamo facendo. L'abbiamo fatto dal primo giorno, documentando quello che facevamo e rendendolo evidente in azienda e nella comunità scientifica. Non c'è qualcosa che mi faccia dire di avere qualche rimpianto, abbiamo agito sempre con logica di squadra su tre versanti: il clinico e assistenziale, il programmatorio e aziendale, e quello di ricerca e attività didattica. La squadra è sempre rimasta solida e abbiamo creato le premesse perché tutto vada avanti. Il ricordo più bello è che questa avventura è iniziata in uno stanzino vicino al deposito delle ambulanze. Abbiamo messo insieme con Mauro Marinari una squadra che all'inizio era nata soprattutto grazie a spirito di volontariato e le risorse erano ritagliate tra quelle che c'erano a disposizione. Un'avventura iniziata dal basso, con ovviamente tante fatiche i dispiaceri, ma sono contento dell'opportunità che mi è stata data".
Con Daniele Lorenzet, presidente della Fabio Sassi
Parlando di volontariato, il dottor Scaccabarozzi ha ricordato l'importanza di questa preziosa risorsa che ha sempre agito in sinergia con il movimento delle cure palliative. "È stato un aiuto prezioso soprattutto negli anni d'esordio. In particolare abbiamo avuto tre realtà che non ci hanno mai fatto mancare supporto: la Fondazione Floriani, l'Associazione Fabio Sassi e l'Associazione Cure Malati Terminali. Ma lo stesso hanno fatto anche i familiari di malati e cittadini che hanno generosamente contribuito a integrare le risorse messe dallo Stato, risorse importanti dato che il nostro dipartimento ha un volume di attività estremamente significativo rispetto ad altre realtà e ha dei costi a carico del sistema sanitario pubblico, costi che sono sempre stati sostenuti da tutti i direttori che si sono avvicendati, e che ringraziamo". Proprio su questo tema, il dottore ha spiegato che nessuno gli ha mai fatto fare passi indietro: " Abbiamo sempre testimoniato l'efficacia del nostro lavoro, anche quando in passato ci sono stati elementi di sofferenza rispetto alla logica di esternalizzazione dei servizi. La filiera del Difra è sempre stata pubblica e ha tenuto la barra al centro, bella ferma, nell'erogare un servizio pubblico senza esternalizzarlo".
Trent'anni di lavoro e sviluppo sono tanti e dal 1992 a oggi molte cose sono cambiate e migliorate, ma, oltre a insegnare e trasmettere conoscenza, c'è ancora qualcosa che secondo il dottor Scaccabarozzi si può fare: "La questione principale in agenda oggi è che la medicina della complessità deve permeare la medicina che riduce e risolve. Ancora oggi molti specialisti d'organo con l'avvento del miglioramento delle terapie spesso spostano sempre più in là l'asticella rispetto a trattamenti che a volte non hanno ragione di essere intrapresi. Bisogna sempre fare cure proporzionate e appropriate. È opportuno rimettere al centro la medicina della persona, che tiene conto anche del punto di vista del malato e della sua famiglia. Si tratta di un lavoro culturale verso l'indicazione a cure proporzionate e cure palliative che non sempre i professionisti, concentrati su aspetti super specialistici, sanno fare. Noi in ospedale, con l'équipe di cure palliative, siamo lì proprio per ricordarglielo continuamente. Ci sono dei momenti in cui bisogna fermarsi e riflettere su cosa è utile per il malato in quel momento. Bisogna cambiare il paradigma di riferimento. La medicina della complessità è proprio quella che ti invita a recuperare i valori della medicina tradizionale, che sono valori fondanti: l'ascolto, la relazione di cura e il tempo a essa dedicata. Su questo c'è ancora tanto da fare".