C'è qualcosa di 'malato' in questo nostro sistema di vita?
Da umani, ancor prima che da cittadini, come non interrogarsi su questa serie di tragici eventi verificatisi anche a livello locale.
Eventi, come suicidi e omicidi anche familiari, che pur riguardando aspetti personali insondabili, e quindi da contornare con doveroso rispetto e riservatezza, non possono non costringerci a riflettere sul senso della nostra esistenza e sulla qualità dei rapporti sia interpersonali che comunitari.
Non casualmente di questi tristi casi se ne parla anche in ambiti informali, pur non essendo titolati da qualifiche e competenze professionali, e sempre con grande sconcerto misto ad un crescente disagio. Del resto non occorre essere esperti ma forse semplicemente ricordarsi della propria umanità, spesso a rischio di venire sopita a causa dei frenetici “riti della vita moderna”.
Perché accadono certe cose? Perché si arriva ad uccidere per futili motivi e magari anche pur solo per una precedenza ad un semaforo? Perché pur vivendo magari accanto o perlomeno da “vicini di pianerottolo” non avvertiamo la sofferenza che a volte ci circonda? Ma che società è questa che ci disabitua alla solidarietà e ci spinge a “farci “gli affari nostri”? Quali i valori ed i modelli di comportamento e, direi più profondamente, di vita che informano le nostre esistenze in modo più o meno consapevole? Quali gli esempi “virtuosi” che questa società così individualistica e competitiva ci propina specialmente attraverso la Tv? In definitiva per che cosa viviamo?
Come non farsi tornare in mente quella frase che ribaltava un detto popolare diffuso trasformando quel “Vivi sapendo che devi morire!” in un più sollecitante “Vivi sapendo che devi... Vivere!”.
Come al contempo balenano, in sempre più menti, possibili collegamenti tra questi tragici avvenimenti e la “natura” (un vero e proprio comune “brodo culturale”) delle grandi questioni che ci sovrastano come ad esempio questa assurda guerra, con tutte le sue contraddizioni e le sue ipocrisie; come un sistema economico in cui siamo strutturalmente immersi che premia chi specula attraverso la finanza e non chi crea lavoro, che rovescia strumentalmente le parti confondendo vittime e “carnefici”, che esalta i diritti ma non promuove i doveri, che riempie di vacuità e falsi valori le nostre vite...
Basterebbe ascoltare i nostri ultra vecchi che, avendo vissuto nel corso della loro travagliata esistenza in contesti a volte addirittura di miseria estrema, ora pur usufruendo di tutte le comodità che questo “progresso” ci ha fortunatamente assicurato (almeno sinora), non si riconoscono più in questo tipo di mondo.
Come è possibile, ad esempio, che centinaia di persone a Seul, ma potrebbe ormai capitare in una qualsiasi parte del nostro pianeta, possano morire schiacciate dalla calca per festeggiare un “rito” soprattutto commerciale o per inseguire un personaggio famoso?
Non c'è qualcosa di “intrinsecamente malato” in questo nostro sistema di vita?
Eventi, come suicidi e omicidi anche familiari, che pur riguardando aspetti personali insondabili, e quindi da contornare con doveroso rispetto e riservatezza, non possono non costringerci a riflettere sul senso della nostra esistenza e sulla qualità dei rapporti sia interpersonali che comunitari.
Non casualmente di questi tristi casi se ne parla anche in ambiti informali, pur non essendo titolati da qualifiche e competenze professionali, e sempre con grande sconcerto misto ad un crescente disagio. Del resto non occorre essere esperti ma forse semplicemente ricordarsi della propria umanità, spesso a rischio di venire sopita a causa dei frenetici “riti della vita moderna”.
Perché accadono certe cose? Perché si arriva ad uccidere per futili motivi e magari anche pur solo per una precedenza ad un semaforo? Perché pur vivendo magari accanto o perlomeno da “vicini di pianerottolo” non avvertiamo la sofferenza che a volte ci circonda? Ma che società è questa che ci disabitua alla solidarietà e ci spinge a “farci “gli affari nostri”? Quali i valori ed i modelli di comportamento e, direi più profondamente, di vita che informano le nostre esistenze in modo più o meno consapevole? Quali gli esempi “virtuosi” che questa società così individualistica e competitiva ci propina specialmente attraverso la Tv? In definitiva per che cosa viviamo?
Come non farsi tornare in mente quella frase che ribaltava un detto popolare diffuso trasformando quel “Vivi sapendo che devi morire!” in un più sollecitante “Vivi sapendo che devi... Vivere!”.
Come al contempo balenano, in sempre più menti, possibili collegamenti tra questi tragici avvenimenti e la “natura” (un vero e proprio comune “brodo culturale”) delle grandi questioni che ci sovrastano come ad esempio questa assurda guerra, con tutte le sue contraddizioni e le sue ipocrisie; come un sistema economico in cui siamo strutturalmente immersi che premia chi specula attraverso la finanza e non chi crea lavoro, che rovescia strumentalmente le parti confondendo vittime e “carnefici”, che esalta i diritti ma non promuove i doveri, che riempie di vacuità e falsi valori le nostre vite...
Basterebbe ascoltare i nostri ultra vecchi che, avendo vissuto nel corso della loro travagliata esistenza in contesti a volte addirittura di miseria estrema, ora pur usufruendo di tutte le comodità che questo “progresso” ci ha fortunatamente assicurato (almeno sinora), non si riconoscono più in questo tipo di mondo.
Come è possibile, ad esempio, che centinaia di persone a Seul, ma potrebbe ormai capitare in una qualsiasi parte del nostro pianeta, possano morire schiacciate dalla calca per festeggiare un “rito” soprattutto commerciale o per inseguire un personaggio famoso?
Non c'è qualcosa di “intrinsecamente malato” in questo nostro sistema di vita?
Germano Bosisio