Mandic: quello che la Direzione non dice su calo delle nascite e numero di parti cesarei

Tiziana Dell'Anna
Con la consueta bonomia che gli è concessa dalle ampie fattezze fisiche ma che contraddice la teoria lombrosiana, il direttore generale dell'azienda socio-sanitaria territoriale di Lecco ha aperto la conferenza stampa rivolgendosi direttamente ai gufi - cioè a noi - che profetizzavamo la chiusura del punto nascite ostentando la rapidità con cui è stata nominata Tiziana Dell'Anna primario di Ostetricia-Ginecologia del Mandic facente funzioni.

Solo qualche sprovveduto ci può cascare. Il facente funzioni è "normalmente" nominato in tempo zero, a maggior ragione in una struttura operativa complessa come l'Ostetricia Ginecologia.

Il proseguo dell'intervento è stato nel solco d Alice nel paese delle meraviglie, dove l'Hub (Lecco), collabora fattivamente con lo Spock (Merate) per fare sinergia, complementarietà ecc. ecc.

Chiunque abbia voglia di girare nei reparti del presidio ospedaliero cittadino troverà voci del tutto opposte dietro ogni angolo.

Ma fa parte del gioco, in fondo tra un anno il dottor Favini se ne andrà con un sorriso da buon pacioccone, lasciando il San Leopoldo Mandic in condizioni assai peggiori di come l'aveva lasciato Stefano Manfredi, non per nulla inviato prima alla testa dell'Istituto dei tumori di Milano e ora al San Matteo di Pavia.

Quello che non fa parte del gioco è il posizionamento di Roberto Bellù, direttore di dipartimento Materno Infantile. Indicato dal suo predecessore Rinaldo Zanini - teorico della concentrazione dei parti al Manzoni - Bellù ha costruito l'intervento sull'architrave del parto fisiologico, cioè il parto naturale o vaginale se si preferisce. Ed ecco il punto. Che storicamente ha contrapposto Lecco a Merate: troppi parti cesarei pratica il dr. Del Boca. Se non li riduce drasticamente ne subirà le conseguenze. L'obiettivo - ha detto Bellù - è il rispetto del protocollo previsto dal DM 70: 25% di cesarei sopra i 1000 parti, 15% sotto i 1000 parti. E Merate è ben lontano. Però il Direttore di Dipartimento non ha fornito altri dati ai giornalisti, giusto per un esercizio comparativo. Colmiamo la lacuna: in tutta Italia solo il 14.4% delle strutture che gestiscono meno di 500 parti rispetta la soglia del 15% dei cesarei, e solo il 63.4% sopra i 1000 parti rispetta la soglia del 25%.
Di più: la media italiana di parti cesarei nel 2020 è stata del 31.7%; nel 2021 del 31.2%. Ci sono regione come Puglia, Campania ma anche Liguria che superano il 40%. Senza mettere in discussione i principi dell'Organizzazione Mondiale della Sanità però è interessante vedere come nel 1965 la mortalità neonatale col 5% di cesarei era del 22.5% mentre cinquant'anni dopo col 38% di cesarei la mortalità neonatale è crollata al 2.3%.

Qualche parola anche sulla migrazione delle donne. Come abbiamo già scritto non si può piacere a tutti e sicuramente ci sono diversi casi di pazienti che non si sono trovate bene in sede di accoglienza. Ma le 500 migrazioni di cui ha parlato Favini sono in gran parte dovute ai paletti che disposizioni regionali e aziendali hanno posto all'ospedale minore, cioè Merate, costretto a inviare a Lecco tutti i casi con un minimo rischio di complicazioni. Ma il bello è che la gran parte di queste pazienti a Lecco non ci è andata, ha preferito Vimercate, Carate, Desio, cioè l'azienda socio-sanitaria territoriale confinante. Questo per ammissione stessa del dottor Bellù. A conferma della nostra tesi che se Merate va male Lecco segue a ruota. E, soprattutto, che sceglie la donna: se a Merate non può essere seguita anche per la mancanza della terapia intensiva neonatale non va al Manzoni, preferisce Oreno.

Quanto al resto, nessuna persona di buon senso poteva pensare che il punto nascite sarebbe stato chiuso l'1 novembre, quindi l'ironia del Dg è la classica di un tanto al chilo . . . . . Sarà il tempo a dire chi ha visto giusto.

 

P.S.: In qualunque azienda, anche quando i manager se ne vanno sbattendo la porta, il vertice pone formali ringraziamenti. E' una questione di classe e di educazione. Doti di cui, evidentemente Paolo Favini, Vito Corrao e Valentina Bettamio sono sprovvisti.

Claudio Brambilla
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