Caccia in deroga in Lombardia Condannata l’Italia dall’UE
La direttiva uccelli si prefigge la protezione, la gestione e la regolazione di tutte le specie di uccelli viventi naturalmente allo stato selvatico ed è volta a disciplinarne lo sfruttamento, e dispone che gli Stati membri adottano le misure necessarie per mantenere o adeguare la popolazione di tutte le specie di uccelli particolarmente protetti ad un livello che corrispondente in particolare alle esigenze ecologiche, scientifiche e culturali, pur tenendo conto delle esigenze economiche e ricreative.
Gli Stati membri dovevano adottano le misure necessarie per preservare, mantenere o ristabilire, per tutte le specie di uccelli protetti, una varietà e una superficie di habitat, nonché dovevano cercare di prevenire l'inquinamento o il deterioramento degli habitat, e infine dovevano instaurare un regime generale di protezione che comprenda in particolare il divieto di uccidere, catturare o disturbare questi uccelli.
La direttiva prevedeva che gli stati potessero, in assenza dimostrata di altre soluzioni soddisfacenti, derogare a tale regime restrittivo per la caccia una serie di ragioni tassative: nell'interesse della salute e della sicurezza pubblica nonché della sicurezza aerea, per prevenire gravi danni all'agricoltura, per la protezione della flora e della fauna, in secondo luogo, ai fini della ricerca e dell'insegnamento, del ripopolamento e della reintroduzione nonché per l'allevamento connesso a tali operazioni e, in terzo luogo, per consentire in condizioni rigidamente controllate e in modo selettivo la cattura, la detenzione o altri impieghi misurati di determinati uccelli in piccole quantità.
Le deroghe, secondo l'Unione europea, avrebbero dovuto menzionare le specie che formano oggetto delle medesime, i mezzi, gli impianti e i metodi di cattura o di uccisione autorizzata, le condizioni di rischio e le circostanze di tempo e di luogo in cui esse possono esser compiute, l'autorità abilitata a dichiarare che le condizioni stabilite sono realizzate e a decidere quali mezzi, impianti e metodi possano essere utilizzati, entro quali limiti, da quali persone, nonché i controlli che saranno effettuati.
Che cosa è in realtà accaduto? Che lo Stato italiano nell'art. 19 bis della legge sulla caccia, n. 157/1992, ha istituito un procedimento di controllo di legittimità delle deroghe a livello regionale «sostanzialmente inefficace e intempestivo».
Quanto alla regione Lombardia, la Commissione osserva che il prelievo venatorio in deroga di varie specie protette è stato autorizzato senza rispettare l'art. 9 della direttiva 79/409. Infatti, le leggi regionali succedutesi ogni anno per dare vita ad una caccia in deroga di più di mezzo milione di piccoli uccelletti in violazione alle direttive comunitarie, non riportano motivazioni sufficienti per spiegare le ragioni dei prelievi venatori in deroga di esemplari appartenenti alle specie fringuello e peppola e di esemplari appartenenti alle specie passero d'Italia, passera mattugia e storno, e senza tuttavia fornire alcuna indicazione sulle ragioni astratte e sui motivi concreti che renderebbero necessario il prelievo di alcuni esemplari di tali specie, né sull'assenza di altre soluzioni soddisfacenti.
La circostanza che la caccia ricada nella competenza esclusiva delle regioni non può dispensare la Repubblica italiana dall'obbligo di garantire che le deroghe al regime restrittivo della caccia adottate dalle autorità competenti rispettino i requisiti e le esigenze posti dalla direttiva: e lo Stato italiano non è intervenuto per bloccare questa grave illegalità per molti, molti anni.
Conseguentemente la Corte di Giustizia ha accolto il ricorso della Commissione:
Poiché la normativa di trasposizione nell'ordinamento italiano della direttiva del Consiglio 2 aprile 1979, 79/409/CEE, concernente la conservazione degli uccelli selvatici, non è completamente conforme a tale direttiva e il sistema di recepimento dell'art. 9 di quest'ultima non garantisce che le deroghe adottate dalle autorità italiane competenti rispettino le condizioni e i requisiti previsti da tale articolo, la Repubblica italiana è venuta meno agli obblighi ad essa incombenti in forza degli artt. 2‑7, 9‑11, 13 e 18 della citata direttiva
Condannando l'Italia a tutte le spese del giudizio, comprese quelle della fase cautelare. Un'altra vergognosa condanna, che ricade sulle spalle di tutti i cittadini.
Solo da pochi giorni, e grazie al pressing delle associazioni ambientaliste, l'Italia ha modificato la propria normativa nazionale con la legge "comunitaria" n. 96 del 2010, a distanza di trent'anni dalla direttiva! E alle soglie di una nuova polemica, tutta lombarda e politica, tra forze contrarie all'ennesima legge lombarda sulle deroghe in quanto evidentemente oggi ancora più illegittima di ieri, e forze invece tese solo a procacciarsi il voto di un'illusa minoranza venatoria: convinta, dice la presidente WWF Lombardia Paola Brambilla, che sia la legge a fare spuntare dal territorio cementificato la fauna selvatica, e non accorte e legali politiche di tutela ambientale e miglioramento faunistico. Speriamo che la sentenza ponga fine al far west della caccia in deroga".