LIBRI CHE RIMARRANNO/77: il diario di Mary Anderson, da adolescente a donna

"Mio padre mi chiama Mary, mia madre mi chiama Marie. Tutti gli altri mi chiamano Mary Marie. Ho tredici anni, e sono controcorrente e una contraddizione, perché vivo metà del tempo con mia madre e l'altra metà con mio padre. Mia madre andrà a vivere a Boston, mio padre resterà qui...
Un divorzio, sapete.
E io sono terribilmente emozionata per questo.
Nessuna delle altre mie amiche ha avuto un divorzio nella propria famiglia. Inoltre, dev'essere terribilmente interessante, molto di più che vivere insieme con tuo padre e tua madre nella stessa casa tutto il tempo...
È per questo che ho deciso di scrivere un libro."

Inizia così il diario della giovane Mary Anderson, uscito da una penna che non ti aspetti. Non tanto per la levità dello stile, che la traduzione italiana (la prima traduzione italiana di un romanzo che finora era inedito da noi!) di Andrea Massone rende bene, quanto perché l'autrice è quella Eleanor Hodgman Porter a inizio del Novecento ha creato Pollyanna.
Chi ricorda le atmosfere ireniche dei due romanzi che hanno come protagonista la giovane orfanella Pollyanna Whittier, affidata alle cure austere e moralistiche della zia Polly, non potrà non riconoscere nell'attacco di questo libro, che è l'ultimo della Porter, morta nel 1920 proprio mentre la sua Pollyanna debuttava nel mondo del cinema muto, quell'ottimismo del "gioco della felicità".
C'è l'amore, in queste pagine: quello dei genitori, sbocciato e appassito, e quello della giovane Mary, sognato e immaginato. E c'è la vita familiare con i suoi piccoli screzi che l'ottimismo potrebbe smussare, ma per fare questo occorre essere bambini, mentre gli adulti hanno presto dimenticato questo talento. E si legge tra le righe del diario la lacerazione di una ragazzina che tenta di compiacere ora l'uno ora l'altra, vestendosi diversamente, essendo Mary o Marie, adattandosi all'affetto esigente degli adulti e perdendo un pochettino di sé stessa.
Questa ambivalenza continua anche quando Marie si sposa con Jerry, che la chiama affettuosamente Mollie, e non conosce Mary, che è lei eppure non lo è. E le cose non vanno esattamente come forse vorrebbero, e Marie si trova sulla stessa soglia della madre, a un passo da quella scelta che avrebbe costretto anche sua figlia Eunice a scrivere poi il diario di una separazione come quello che Mary Marie aveva scritto.
Il romanzo della Porter, "Mary Marie" (Àncorawow, 2022, pagg. 251, Euro 14,90) è insieme il diario inatteso di una adolescente e la riflessione di una donna matura, salvata dalla rilettura di questo stesso diario che aveva scritto da ragazza, perché l'amore può far bene e far male, può funzionare o fallire, ma scrivere è un gesto d'amore che non può che essere salvifico.
Lo stile è talora affettato, pieno di esclamazioni, di "oh!", di cadenze infantili e ombelicali, ma così è la Porter: la sua prosa ha un secolo esatto, e si sente. Ma la storia non è per nulla invecchiata, e fa bene leggerla.

PER LEGGERE LE RECENSIONI PRECEDENTI CLICCA QUI
Rubrica a cura di Stefano Motta
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.