LIBRI CHE RIMARRANNO/74: 3 racconti di Edoardo Albinati per ''Uscire dal mondo''

Trenta pagine senza nemmeno un punto fermo, nemmeno alla fine, come un ininterrotto flusso di coscienza, un unico sfogo di un musicista misantropo, in crisi di talento e in subbuglio di manie.


Parto dall'ultimo racconto, "Oubliette", il nome delle prigioni sotterranee medievali, per raccontare l'ultimo libro di Edoardo Albinati, "Uscire dal mondo" (Rizzoli, 2022, 174 pagg., Euro 17,00), che è inatteso e spiazzante. Dopo l'enorme e fluviale misura delle mille e più pagine della "Scuola cattolica", questo piccolo libro che raccoglie tre racconti arriva ficcante e azzeccatissimo.


Tre storie: un detenuto che parla per citazioni cinematografiche e la sua insegnante, in un carcere che potrebbe benissimo essere Rebibbia, dove Albinati insegna da anni; una ragazza, Giglia, oppressa da una strana malattia in un paese dove circolano voci poco lusinghiere sulla condotta di vita del padre cappuccino Alighiero; e poi il terzo racconto.


Lo stile è quello già apprezzato di Albinati, che cura le parole con precisione affilata. A guardare in controluce le pagine ci si trova Manzoni (padre Alighiero è un po'  padre Cristoforo su cui pesava la stessa accusa di carità pelosa) e Flaubert (il farmacista del secondo racconto, il più lungo e corale, ricorda monsieur Homais di "Madame Bovary"), e Mann: il compositore di motivetti in crisi ha un momento alla Gustav von Aschenbach.


Ma sui tre racconti si spande una patina non ottocentesca né novecentesca, ma più moderna, e più alienante. Sono lo specchio di quelle solitudini costrette o cercate che davvero sono la malattia del Duemila, e che Albinati offre con una prosa lucidissima alla nostra riflessione. Ma non è solo un libro filosofico: si legge bene, d'un fiato, anche se fa trattenere il respiro.


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Rubrica a cura di Stefano Motta
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