LIBRI CHE RIMARRANNO/72: ''Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis'' di Pino Loperfido

Alle 14:36 del 3 febbraio del 1998 un Grunman EA-6B "Prowler", un aereo per la guerra tecnologica, dotati di apparati in grado di oscurare i radar e le telecomunicazioni in territorio nemico prima di un'incursione dei cacciabombardieri, decolla dalla base NATO di Aviano. Alle 15 e 12 provoca la morte di venti persone a Cavalese, in Val di Fiemme. Alle 15 e 15 il capitano Asby, ai comandi, dichiara via radio di aver subito l'impatto contro "un grosso uccello".
Quando atterra alle 15 e 26 ad Aviano il Prowler ha la deriva di coda danneggiata non dall'urto contro un uccello ma dal cavo di acciaio della funivia che portava da Cavales al Cermis, e che l'aereo ha tranciato, cercando di passarci sotto.
La domanda giusta non è perché abbia tentato di passare sotto e non sopra i cavi della funivia. La domanda è cosa ci facesse un aereo da guerra americano tra la Val di Fiemme e la Val di Fassa.
Era la stagione della Guerra nei Balcani e i piloti NATO si allenavano in quello scenario che reputavano simile a quelli che avrebbero potuto trovare nelle incursioni a bassa quota nei Balcani.
E adesso?
Perché io ricordo bene quel pomeriggio di luglio in cui fui scaraventato a terra insieme ai miei due compagni di arrampicata quando due F-16 passarono rasenti alla Cresta del Padon, in faccia alla Marmolada, dove eravamo io, Dario e Alessandro. E la rassegna che Pino Loperfido mette in coda al suo "Ciò che non si può dire. Il racconto del Cermis" (Edizioni del Faro, 2022, pagg. 172, Euro 14,00) arriva fino al 4 febbraio di quest'anno, documentando voli assurdi di caccia militari in mezzo alle valli più belle del mondo.
È un libro ecologico questo di Loperfido, non nel senso di "green" ma nell'accezione etimologica del termine: denuncia l'assoluta mancanza di logica nel gestire una "casa" (oikìa in greco significa questo) che dovremmo custodire, invece che usare senza criterio. È illogico il passaggio di aerei militari come è illogico l'uso delle montagne come un playground. I paesani che Loperfido fa parlare nella loro lingua pastosa e gustosa se lo chiedono nel libro: che senso ha costruire le funivie per portare su le persone in cima? È lo sci, gli viene risposto. I "sghèi", i "danè". Ah beh, allora.
Il tono di molte pagine è esattamente questo, recitativo, dialogico, terreno. Perché il libro nasce pensato per essere portato in scena come pièce teatrale, e ne testimonia la vivacità e, a volte la fragilità.
Nasce dalla testimonianza reale, anche se trasfigurata dalla narrativa, dell'unico superstite di quella tragedia, il conduttore dell'altra cabina, quella vuota, ugualmente precipitata a valle con lui miracolosamente illeso. Io l'ho conosciuto e, credetemi, anche a distanza di così tanti anni nei suoi occhi ho ritrovato ancora la paura e lo smarrimento di quel giorno. Ho conosciuto anche Pino Loperfido, e nelle sue parole ho colto la rabbia del cronista intelligente (è giornalista, direttore della rivista "TrentinoMese" e fondatore del Trentino Book Festival) che si sente smarrito davanti a un mondo che continua, imperterrito a sbagliare.
Chi ama quelle montagne, chi ha preso, come me, quella funivia ora ripristinata, chi si appassiona guardando "Top Gun" e pensando che tutto sia un fumetto, legga cosa possono fare dei cow-boy irresponsabili (nessuno degli avieri a bordo del Prowler è stato ovviamente punito per quella tragedia), e non dimentichi.

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Rubrica a cura di Stefano Motta
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