LIBRI CHE RIMARRANNO/71: ''Il passo falso'', la storia non banale del prof. Rastelli

Ho letto un romanzo bellissimo e voglio parlarvene.
A chi scrive e legge per mestiere non capita spesso. C'è un sovraccarico di conoscenze, di gusti, di manìe personali anche, che rende spesso difficile accostarsi a uno dei molti libri che per lavoro bisogna leggere, o scrivere, in modo libero, pulito, naïf.
Devi recensire un romanzo storico sul Seicento? Eh, ma tu ci hai fatto la tesi di laurea sul quel secolo, dunque spacchi il capello in quattro allo scrittore di turno che osa avventurarcisi.
Ti mandano un libro su Manzoni? Eh, ma tu sei uno dei massimi esperti di don Lisander, dunque qualsiasi cosa ci sia scritta in quel saggio, tu la sai già o comunque l'avresti saputa dire meglio.
Potrei andare avanti quasi all'infinito, perché grazie al cielo tante sono le mie passioni e, di conseguenza, anche le conoscenze che grazie a queste ho maturato.
Quando sei a questi livelli di disillusione è un dono da custodire quello di un romanzo che sappia sorprenderti in modo così puro. Il merito non è quasi mai della storia raccontata (questo romanzo racconta la storia della fuga in Svizzera di un giovane ragazzo ebreo e delle contemporanee scorrerie di un suo coetaneo partigiano attraverso i sentieri sul ramo manzoniano del lago di Como, sulle rive dell'Adda a Colico e poi su per la Val Masino, valle dove io ho infiniti ricordi d'infanzia, fino alla Capanna Omio): tutto risaputo. Il merito è del tono con cui uno scrittore riesce a porgertela. E Marina Morpurgo in questo suo "Il passo falso" (Astoria, 2022, 240 pagg., Euro 17,00) ha una voce efficacissima.
È un impasto di franchezza e cultura, di ironia pungente e di malinconica tristezza, sempre in filigrana, sempre un passo indietro, sempre in levare. La storia prende le mosse dai comportamenti bizzosi dello stimato professor Emilio Rastelli, che già pediatra di fama è ora la tortura della caposala e delle infermiere dell'ambulatorio dializzati, oltre che di sua moglie, professoressa di Lettere in pensione, di vent'anni più giovane di lui, che ormai mal tollera l'alternanza di sarcastica lucidità e di paurosi vaneggiamenti nella quale si perdono le giornate del marito.
Che, quando riesce, prende le chiavi dell'auto e fugge verso Colico, per essere ritrovato dalla polizia stradale mentre gira come un criceto in seconda marcia lungo la grande rotatoria del Pian di Spagna: cosa cerca da quelle parti? Cosa lo spaventa? Chi è davvero Emilio Rastelli? Perché chiama "Irma" la caposala Anna?
Potrei dire che la soluzione finale è ovvia, ma il modo in cui viene raccontata è delicato ed efficacissimo. Così come l'incipit: le prime quattro pagine coll'anziano che finge un ictus perché la nuova infermiera, "quella brutta culona" dice lui, l'ha chiamato con condiscendenza che voleva essere affettuosa "nonno", sono la cartina di tornasole del registro che si mantiene così per tutte le duecento pagine: leggero senza mai essere banale, drammatico senza mai diventare patetico, sorridente senza smettere di essere serio.
Brava Marina Morpurgo: brava davvero!

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Rubrica a cura di Stefano Motta
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