LIBRI CHE RIMARRANNO/70:  ''L'elbano errante'', 929 pagine tra storia e ''hollywoodismi''

Novecentoventinove pagine, epilogo, indici, ringraziamenti e appendice compresi; ottantatré capitoli; quattro continenti toccati (Europa, Asia, Africa, America Centrale); almeno un paio di battaglie di quelle che si trovano sui libri di storia (l'assedio di Malta del 1565 e la battaglia di Lepanto del 1571); una schidionata di personaggi storici realmente esistiti, secondo la migliore ricetta manzoniana (tra cui Cervantes, astutamente citato nel sottotitolo ma invero non così decisivo nella trama del romanzo), e un paio di personaggi minori a fare da protagonisti, ma a differenza di Renzo e Lucia non sono promessi sposi ma fratello e sorella, uniti comunque da un amore ostinato ed emozionante.
Lui si chiama Lucero, lei Angiolina, pescatori di calamari all'isola d'Elba. È il 1544 e i corsari turchi sbarcano sulla spiaggia di Longone - l'odierna Porto Azzurro - e fanno razzia sull'isola, come molte volte accadde sulle coste del Tirreno. Lucero viene ferito, la quindicenne Angiolina viene rapita per essere venduta al mercato degli schiavi di Algeri come merce prelibatissima: bianca, cristiana e ancora vergine. La acquista per il proprio harem nientemeno che il pascià di Algeri, che ne coglierà la rosa (lo so, è di Ariosto l'espressione eufemistica, e l'ho messa apposta perché c'è tantissimo di ariostesco in questo romanzo) e ne farà la sua Favorita. Divenuta Aisha, "la puttana cristiana", darà al pascià un erede maschio e occuperà un ruolo-chiave nella ricchissima Algeri, tra intrighi di corte, invidie e la protezione di un vecchio saggio che poi si rivelerà in realtà...
Lucero, ferito nell'assedio, coverà per tutta la sua lunghissima e travagliata esistenza una sete di feroce e mai doma vendetta nei confronti dei Turchi, che sgozzerà in numero incalcolabile prima come soldato di ventura, poi come monaco cavaliere di Santo Stefano al servizio di Cosimo de' Medici, poi arruolato nell'esercito regolare spagnolo di Napoli, poi in Messico (vabbè, qui i Turchi non ci sono ma lui li insegue negli incubi, perché persino sul galeone che lo conduce oltreoceano qualcuno conosce la sorte della sorella Angiolina-Aisha!), sempre con l'obiettivo fisso, irrealizzabile e ossessivo di prendere Algeri e riprendere Angiolina.
Le loro due storie si alternano per gli innumerevoli capitoli di un romanzo in cui c'è tutto quello che si può desiderare da un romanzo d'avventura: duelli, carneficine, inseguimenti, amicizie, dotte digressioni storiche, un cavallo fedele, dei galeotti votati al proprio comandante che li ha liberati, la Sacra Inquisizione, le streghe, Machiavelli, veleni, antidoti, un po' di sesso, persino una evirazione durante una fellatio, un colpo di scena ogni tre pagine, secondo i bravi dettami della moderna scrittura cinematografica.
Ma alla lunga tutto viene appiattito nel racconto di queste avventure, tendenzialmente uguali a sé stesse, per una storia tirata lungo trentacinque anni, che si legge volentieri, talora ipnotizzati proprio da quei meccanismi narrativi maneggiati da Pino Cacucci, "L'elbano errante" (Mondadori 2022, Euro 27,00) con la stessa abilità con cui Lucero maneggia la spada.
Se la scrittura non difetta, né difetta la documentazione storica ricca e corretta, il linguaggio risente di molte mossette leziose: al di là degli spagnolismi, che non infastidiscono, sono gli "hollywoodismi" a dare talvojta fastidio. Si cerca in Lucero (e si trova) Massimo Decimo Meridio, James Bond, il capitano Alatriste, Aragorn, il Cid, Burt Lancaster e via cercando.
Nell'appendice Cacucci mette a disposizione dei lettori alcune delle sue ricerche, motivando scelte lessicali che possono apparire anacronistiche (per esempio quando Angiolina dice "ho dovuto imparare a giocare con il cazzo del pascià", e spiegando che la parola era una delle preferite nei sonetti di Pietro Aretino diffusissimi nel Cinquecento. E se questo autorizza filologicamente uno scrittore a metterla in bocca a un'eroina di un romanzo ambientato nel Cinquecento, non per questo ne fa un pregio di stile), o svelando alcuni dietro le quinte che aggiungendo informazioni o spiegando le ragioni di alcune coincidenze romanzesche finiscono per togliere fascinazione al romanzo.
Aveva ragione Manzoni: un libro speso a spiegarne un altro è d'avanzo.
Piuttosto che mettere quattro libri in valigia per le vacanze, questo può bastare: c'è tantissimo in questo romanzo, e ognuno troverà un accordo consonante ai propri gusti di lettori.
Quattrocento pagine in meno e una scrittura meno ripetitiva più affilata (Cacucci cita con ammirazione Pérez-Reverte: ecco, lui è il campione della scrittura affilata) avrebbero reso Lucero e Angiolina dei personaggi indimenticabili.

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Rubrica a cura di Stefano Motta
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