LIBRI CHE RIMARRANNO/67: una raccolta di storie brevi, ''Il tempo delle targarughe' '

La lista degli aforismi che celebrano la grandezza della brevità è paradossalmente assai lunga: "i poemi lunghi sono la risorsa di quegli imbecilli che non ne sanno scrivere di brevi", diceva Baudelaire.
In narrativa esistono romanzi fluviali, alcuni dei veri capolavori, e piccoli gioielli brevi, che per la loro misura appaiono troppo moderni o troppo incompleti.
Ci sono scrittori divenuti famosi per i loro romanzi e che pure hanno dato nella misura della novella breve il meglio di sé. Penso a Verga, a Pirandello, a Wilde, a Buzzati, a Calvino.
Il libro di Francesca Scotti, "Il tempo delle tartarughe", (Hacca, 2022, Euro 15,00) si mette nella scia delle suggestive raccolte di racconti.
Sospese tra il Giappone e l'Italia, come la vita professionale dell'autrice, le storie raccolte in questo libro sono davvero molto particolari: difficili da riassumere - già corte di loro - o da scorciare, perché sono esse stesse degli scorci, incompleti, delle finestre aperte di colpo su mondi inattesi, degli squarci che lasciano intravedere vite interiori potenti.
Rimangono in mente, su tutti, la storia della donna insonne che riesce ad addormentarsi solo viaggiando in auto, e del marito che ogni notte la porta con sé in giro per la città addormentata, fino a quando...; la storia di Michiko, una ragazzina affezionata al suo posto sull'autobus di linea, che lo vede occupato da un'anziana signora e non vede l'ora che arrivi la fermata che ha intravisto sul biglietto della sconosciuta, e allora aspetta, in bilico tra i suoi ricordi un po' dolorosi, fino a quando...; o la storia di un'amicizia estiva tra un ragazzo e una ragazza, inoltratisi l'ultimo giorno di mare in una grotta che l'alta marea poi richiude, fino a quando...; o quella di uno scontro verbale tra due donne, in riva a un lago: l'una ostacola all'altra la visione del panorama e il diverbio si fa inacidito, fino a quando...
Ho letto con qualche smarrimento alcune di queste storie, alcune scritte benissimo esattamente per provocare questa sensazione di infinitezza, che è insieme assenza di una fine e assenza di confini. Molti finali vengono intravisti e vanno immaginati. Per qualcuno ci si trattiene dal formularlo quando si intuisce che sarà triste.
Ho creduto di vederci un po' del Calvino di "Se una notte d'inverno un viaggiatore" in quel continuo cambio di prospettiva e di angolazione che era lo stratagemma spiazzante che si rinnovava ad ogni capitolo di quell'inarrivabile romanzo. Qui la sorpresa e il gioco si rinnovano a ogni racconto. C'era un filo segreto che teneva insieme i capitoli di Calvino, e lo si scopriva solo alla fine.
Mi pare che valga anche per questa raccolta di quindici racconti, in cui vale la pena perdersi in modo lento, come il titolo ci consigli
Rubrica a cura di Stefano Motta
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