LIBRI CHE RIMARRANNO/55: la 'saga' di Clara Simon nel nuovo giallo di Abate

È giovane, è donna, è giornalista (senza firma, ovviamente: è donna!). Basterebbero queste tre caratteristiche a giustificare la definizione di "scassa corbelli" che il direttore della tipografia dell'«Unione» le appioppa. Aggiungo che siamo in Sardegna, con tutto il portato di usi e musi di quella terra splendida, e siamo nel 1905, nell'Italia savoiarda in apparente ascesa imperiale. E lei si chiama Clara Maylin Simon, nipote del più importante armatore dell'isola, per metà cagliaritana - anche se non capisce il sardo - per metà cinese. Le sue origini, non dissimulabili, unite alle caratteristiche dette sopra, divengono uno stigma o un distintivo, la rendono ammirata e discussa, una "bagascia cinese" cui dare una lezione, secondo le parole del bandito Barrosu.
Comparsa nel 2020 nei "Delitti della salina", Clara Simon ritorna in questo nuovo romanzo di Francesco Abate, "Il complotto dei calafati" (Einaudi, pagg. 262, Euro 17.50), e conferma quello che i lanci di agenzia intuivano due anni fa: è nata una nuova interessante figura di investigatrice nel panorama giallo italiano.
In una intervista Abate già anticipava la lavorazione del secondo capitolo (questo) e gigioneggiava "Se diventerà saga però sarà solo per decisione dei lettori. Personalmente sono pronto, ho in mente tutto l'arco narrativo di Clara Simon persino l'ora e il giorno in cui morirà, anziana."
Il finale di questo secondo romanzo, con l'imbarco su un piroscafo alla volta di Napoli, in cerca di informazioni sulle sorti del padre militare scomparso, è apertissimo a nuovi scenari.
A chiusura di un gala di beneficenza per raccogliere fondi a favore dei terremotati della Calabria, i conti Cabras, marito e moglie, vengono fermati in un agguato e uccisi per strada, insieme all'autista della Peugeot. Si salva solo il conte Pinna. Il movente sembra politico (l'odio socialista nei confronti dei baroni e via dicendo), ma allora non si spiegherebbe l'uccisione anche dell'autista, povero come tutti gli altri poveri dell'isola.
Non lo so se lo definirei "giallo", però, pur con tutti i limiti o le possibilità che questa definizione consente. È vero che c'è un delitto, triplice, dai contorni malavitosi o politici, ma in alcune pagine pare non sia esattamente il motore principale della vicenda. Sebbene il principio del "cui prodest?" per individuare il responsabile fosse enunciato sin da subito, il modo in cui Clara giunge alla soluzione provata è del tutto fortuito, e avviene nel momento in cui il romanzo sembra percorrere una china discendente, quasi prosaica. Il lettore fa in tempo a dirsi: "Tutto qui?" di fronte alla soluzione burocratica, per poi sobbalzare un pochino sulla sedia quando sotto gli occhi di Clara appare l'indizio ribaltatore.
Trovo che sia anche un romanzo, questo secondo più ancora del primo, sull'integrazione, sull'emancipazione femminile e sulla bellezza della professione giornalistica. E che sia scritto in modo interessante: più che il meccanismo del giallo ho apprezzato alcuni colpi di coda inattesi, ironici, che chiudono alcune concatenazioni di fatti ai limiti del comico: il calcio del mulo sulla nuca del ragioner Masala, muro imbizzarritosi perché un sigaro aveva infiammato un recipiente colmo di "sardecchina", la varechina autoctona, esposto alla fiera; o ancora il gesto stizzito con cui una moglie leva da sotto il naso la bottiglia di vino al marito che, cenando alla finestra, sosteneva di aver visto una specie di coppia volante mentre Clara passava sulla canna della bici a motore del fattorino del giornale. E il conte "Roberto Cappai Pinna", che diviene "Cagai Pinna" per un'incontinenza durante l'agguato di cui sopra.
Ci sono sprazzi di prosa interessanti in questo romanzo polifonico: tanti i personaggi, non solo Clara la protagonista, tanti gli ambienti e i registri linguistici. Ci si perde forse un po', in continui cambi di prospettiva nel passaggio dei capitoli, alcuni riusciti altri meno. Non ho mai avuto, però, la tentazione di sorvolare velocemente alcune digressioni per seguire il filo principale dell'intreccio giallo: forse perché non è quello la spina dorsale del libro. Ed è un bene.

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Rubrica a cura di Stefano Motta
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