Retesalute: Milani e Ronchi imputate, ma le responsabilità di Soci e revisori? E l’iter della costosa liquidazione era necessario?

Si fa fatica a comprendere il senso logico delle azioni messe in campo sul piano legale dal Collegio dei liquidatori di Retesalute. E infatti un certo scetticismo è emerso nell’Assemblea dei Soci di mercoledì 27 aprile sia da parte dei componenti del Consiglio di Amministrazione dell’azienda speciale sia da parte di alcuni amministratori locali. Al momento dell’aggiornamento sulle cause giudiziarie c’erano occhi rivolti al cielo tra le fila dei sindaci. In ballo ci sono un ricorso civile per risarcimento danni avanti al Tribunale di Lecco (Giudice del Lavoro) e un procedimento penale per presunto ingiusto profitto. Quanto al primo, intanto il risarcimento per danni arrecati all’azienda è stato chiesto soltanto ad Anna Ronchi, responsabile dell’Area amministrativa all’epoca dei fatti al centro dell’attenzione (fino al 30 settembre 2018), e a Simona Milani, già direttrice generale e poi responsabile amministrativa al posto di Ronchi fino al gennaio 2019.



L’avverbio “soltanto” è usato perché nell’atto del Collegio dei liquidatori, datato 15 luglio 2021, in cui veniva deciso di nominare un avvocato a 10 mila euro netti per intraprendere l’azione risarcitoria, venivano imputate responsabilità specifiche relative alle irregolarità contabili a molti più soggetti: oltre ai già citati capri espiatori, anche allo studio Conti, Rappa, Vaghi per la consulenza contabile dal 2017 al 2020, al revisore dei conti per gli esercizi 2016 e 2017 Giovanni Perego, a due membri del CdA in carica dal 2014 al 2017 e dal 2017 al 2019 (per quanto fossero dimissionari da tempo). A queste persone è stata recapitata soltanto una diffida.



Eppure il Collegio dei liquidatori era ben conscio che Ronchi e Milani si trovano in una situazione di incapienza patrimoniale (un immobile a testa) rispetto all’entità del risarcimento preteso. Alcuni dubbi al proposito sono emersi tra i membri dell’Assemblea dei soci, con la richiesta di appurare la capacità immobiliare dell’ex responsabile amministrativa (ritenuta l’autrice materiale delle irregolarità di bilancio) e dell’ex direttrice generale. È stato poi chiesto di capire se vi fossero delle polizze assicurative sottoscritte dalle parti in causa. Stupefatto l’assessore di Olgiate Molgora Maurizio Maggioni per il mancato coinvolgimento nell’azione risarcitoria anche delle altre figure reputate di avere avuto responsabilità specifiche nelle irregolarità contabili, stante la condizione patrimoniale di chi è stato trascinato in tribunale.


L'avvocato Roberto Corbetta
L’Assemblea dei soci a suo tempo non era stata informata dal Collegio dei liquidatori su tutti questi dettagli, assumendo le decisioni in totale autonomia. Il nuovo CdA, in vista dell’udienza del 9 maggio ha messo a conoscenza dei sindaci il parere formulato dall’avv. Yvonne Messi – la stessa che sta già seguendo il ricorso civile – su quale linea mantenere in aula. L’ipotesi che si è fatta avanti è di rifiutare in questa fase la conciliazione che verrà proposta dal Giudice o dalle parti. Milani aveva già fatto un tentativo in tal senso, che l’azienda speciale aveva rifiutato in quanto avrebbe significato in sostanza rinunciare al risarcimento e Retesalute avrebbe dovuto rifondere di un terzo le spese legali sostenute dall’ex direttrice. L’avv. Roberto Corbetta, membro del CdA, ha sottolineato all’Assemblea dei soci che l’accettazione di una conciliazione esporrebbe l’azienda a dei rischi erariali. Un domani l’azienda potrebbe trovarsi infatti a giustificare alla Corte dei Conti come mai avesse rinunciato ad andare fino in fondo nell’ottenimento di un lauto risarcimento, avendo inoltre speso dei soldi per avviare il ricorso.


L'avvocato Maddalena Reitano
A rischiare sarebbe a questo punto l’azienda e non i Comuni soci, dal momento che la decisione formale di stipulare un accordo verrebbe assunta dal CdA. L’avv. Maddalena Reitano, altra componente del CdA, ha ribadito che secondo il legale Messi il Tribunale di Lecco sino ad ora non avrebbe compreso pienamente le ragioni sottese alla proposizione del ricorso. Qualunque sia l’esito, data la rilevanza della questione, sembrerebbe che il caso non si chiuderà al primo grado di giudizio, ma che si procederà in Appello. Alla luce di questa illustrazione, l’Assemblea dei soci si è trovata unanimemente concorde con il CdA nel non accettare un accordo transattivo.



L’altra partita è sul penale, la cui udienza è fissata per il 1° giugno. L’unica imputata è Anna Ronchi, con l’accusa pendente di “false comunicazioni sociali”. Un agire che avrebbe indotto altri in errore. Il CdA ha chiesto un parere all’avv. Paolo Camporini circa l’opportunità di costituirsi parte civile nel procedimento penale. Il lato positivo di una scelta simile, in astratto, è che la persona offesa (Retesalute) potrebbe giocare un ruolo più attivo nella tutela dei propri interessi. Tuttavia, trattandosi dello stesso fatto in argomento nel ricorso civile ancora pendente, in base a quanto annoverato nel Codice di procedura penale, il giudizio civile sarebbe estinto, se l’azienda dovesse decidere di costituirsi parte civile. Retesalute avrebbe però speso soldi inutilmente per il ricorso civile e dovrebbe risarcire le spese legali sostenute da Ronchi.



L’avv. Corbetta ha ammesso la scarsa opportunità della scelta dell’azienda (ossia il Collegio dei liquidatori) di aver agito prima in sede civile e poi in sede penale. Ha asserito che solitamente l’ordine cronologico è invertito: si comincia dal penale, si decide se costituirsi parte civile. Al termine, se non soddisfatti del riconoscimento del danno (in questo caso vengono chiesti 1 milione e 100 mila euro), si apre una causa civile per dimostrare la quantificazione dello stesso danno. È stato infine evidenziato all’Assemblea dei soci che i Comuni potrebbero singolarmente costituirsi parte civile, tuttavia secondo il parere dell’avv. Camporini: 1) dagli atti sembrerebbe che gli Enti soci si sarebbero avvantaggiati dalla condotta illecita contestata; 2) dovrebbero dimostrare e documentare in modo puntuale gli eventuali danni strettamente collegati alla condotta dell’imputata. Un’impresa che appare sempre più come qualcosa molto semplice a dirsi ma pressoché impossibile a farsi.



Diventa infatti complicato dimostrare un ingiusto arricchimento, che non c’è stato né che la condotta dell’impiegata – perché di tale si tratta – abbia portato vantaggi ai CdA in carica. Nonostante quanto scritto dal PM nella richiesta di rinvio a giudizio, infatti, i membri del CdA non hanno tratto vantaggio alcuno essendo la carica a titolo del tutto gratuito. A ciò va aggiunto che i bilanci sono passati al vaglio dell’organismo di vigilanza, del revisore dei conti, dei CdA di Retesalute, di 26 segretari comunali e altrettanti revisori e di tutte le assemblee dei soci. I comuni peraltro hanno beneficiato del minor costo dei servizi, soprattutto in momenti storici dove i vincoli del patto di stabilità erano stringenti. E infine, come qualche comune aveva previsto, per tornare in bonis è bastato che i comuni-soci versassero le rispettive quote tarate sui servizi comperati da Retesalute ma a un prezzo congruo. Era davvero necessaria la messa in liquidazione con tutti i costi che essa ha determinato? Forse è a questa domanda che si dovrebbe rispondere. Comunque anche sull’iter penale, l’Assemblea dei soci ha unanimemente accolto l’indicazione che l’azienda non si costituisca parte civile.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.