Merate: Giovanni Impastato a colloquio con gli studenti per raccontare il fratello Peppino

Nella mattinata di giovedì 7 aprile si è tenuto nell'aula magna delle superiori l'incontro tra gli studenti di quarta e quinta dell'Agnesi e dell'istituto Viganò e Giovanni Impastato, fratello di Peppino, giornalista ucciso dalla mafia. Un'opportunità unica per dialogare a partire dal libro "Mio fratello. Tutta la vita con Peppino". Ad organizzare l'evento sono stati i professori assieme alla disponibilità della cooperativa sociale "Lo Sciame" di Arcore e dell'associazione "Tavola della pace" della Val Brembana, che da volontari organizzano eventi per dare la possibilità a Giovanni di diffondere la sua esperienza e la storia del fratello, come simbolo di lotta alla giustizia e alla mafia.

Giovanni Impastato

Giuseppe Impastato, detto Peppino, è stato un giornalista ed attivista siciliano, ucciso dalla mafia il 9 maggio del 1978 a Cinisi, a pochi chilometri da Palermo, per ordine del boss mafioso Gaetano Badalamenti. Questo caso passò inosservato in Italia, tranne che nel territorio siculo, per via di un altro sconvolgente avvenimento di cronaca nera, avvenuto lo stesso giorno: il ritrovamento del corpo di Aldo Moro. I mezzi di informazione, così come le forze dell'ordine e i magistrati che hanno seguito il caso, hanno per molto tempo descritto l'avvenimento come un'azione suicida, additando Peppino come terrorista, per via del modo in cui la sua morte era stata progettata e per il ritrovamento di una lettera in cui lo stesso si sentiva solo, abbandonato dall'amore e dai compagni di politica. Questa lettera venne però scritta da Peppino circa due anni prima della sua morte e nascosta in una pila di altri documenti che era solito conservare. Successivamente si scoprì che molte delle prove, che confermavano l'omicidio, furono cancellate proprio da chi doveva fare giustizia. Ecco un estratto del libro: "Ho 25 anni, mio fratello ne ha 30. Dicono, dichiarano e scrivono che è saltato in aria per imperizia, mentre stava piazzando da solo una carica di dinamite lungo la linea ferroviaria Palermo-Trapani. Insinuano, inoltre, che avesse progetti suicidi, tra delusioni politiche e amorose. "Un brigatista" pensano. Indagano su questa pista. I carabinieri sembrano avere il loro terrorista finalmente....Sfiancato dalla sua stessa iperattività, sconvolto dalla morte del padre, che si è issato accaduta per mano della mafia, una forza contro la quale si è scoperto essere impotente. Il corpo di Peppino, il suo cervello, il suo cuore sono stati trovati in pietosi frammenti sparsi tra le agavi e le bounganville lungo i binari."


Martina Garancini dello Sciame e Franco della Tavola della Pace

 

Giovanni, assieme alla madre Felicia Bartolotta Impastato ed alcuni amici del fratello, per più di vent'anni ha studiato e approfondito la storia di Peppino, trovando anche i colpevoli del delitto. Da allora cerca di diffondere la vicenda che ha visto come protagonista il congiunto, educando i più giovani al senso civico e alla lotta per la giustizia. "Questo libro - ha spiegato - racconta una grande storia di coraggio e dignità". Questo perché, nel corso dell'incontro, ha ripercorso la vita della sua famiglia e del tragitto che li ha portati dall'essere legati alla mafia, dal ramo paterno, al lottare contro di essi. Il fratello Peppino infatti, dopo essere stato cacciato di casa dal padre per essersi scontrato con le ideologie mafiose, è cresciuto a casa dello zio materno Matteo, dove ha sviluppato un pensiero libero e fiducioso nello Stato e nella lotta alla giustizia. Dopo la morte dello zio Cesare, per via di un attentato mafioso dei rivali, e la morte del padre, Giovanni e la madre iniziarono a staccarsi da quell'ideologia, seppur rimanendo in bilico, in una società nella quale era difficile uscirne. Fu il giorno della morte di Peppino che Giovanni e la madre non vollero più avere a che fare con i parenti rimasti ed iniziarono la loro lunga lotta contro la criminalità organizzata, mantenendo sempre il coraggio e la voglia di affidarsi alle istituzioni, seppure queste non remassero sempre nel verso della giustizia. A differenza delle famiglie siciliane che chiudevano casa per giorni dopo un lutto, Felicia ha aperto la casa a tutti, in memoria del figlio e come simbolo di lotta alla libertà.

Dopo anni di lotte e l'aiuto di alcuni giudici e procuratori, che sono giunti in soccorso della famiglia di Peppino per fare chiarezza, Badalamenti e Salvatore Palazzolo, i due assassini, sono stati condannati all'ergastolo. Mai però Giovanni e Felicia si sono fatti sopraffare dalla rabbia, giungendo anche a perdonare i colpevoli, perché l'importante era mantenere la concentrazione sulla verità e la giustizia. Eclatante fu il momento il cui, a processo, la madre puntò il dito contro il volto di Badalamenti, in diretta dagli Stati Uniti dove era incarcerato, pronunciando senza rabbia, ma con voce tranquilla e sollevata: "Sei stato tu ad uccidere mio figlio".

L'incontro con gli studenti è stato pensato per essere un dialogo sulla storia di Peppino, approfondita dai ragazzi con varie letture e la visione del film "I cento passi" diretto da Marco Tullio Giordana. Tante le domande poste a dimostrazione dell'attenzione dell'interesse sul tema.
L'autore del libro ha risposto, spiegando di non voler solamente raccontare una storia e i suoi eventi ma di avere a cuore la diffusione di un messaggio civico concreto, per educare i giovani ad un senso di giustizia che non sia strozzata dalla presa di posizione di potenze dannose per la libertà e la pace.

Il dialogo continuo aiuta Giovanni a sentirsi costantemente vicino al fratello, lottando per la causa che li accomuna e per cui è morto. Sono l'interesse ed i valori che si vengono a manifestare durante il dialogo con il pubblico che danno un senso all'azione di educazione civile perseguita con questi incontri. In questo modo, ha raccontato Giovanni, qualcuno ha deciso di intraprendere gli studi per diventare magistrato e giornalista,affascinato dalla storia di Peppino e di tutto il suo contorno.

Dopo aver applaudito e ringraziato per l'incontro e per il lavoro che fa costantemente, la responsabile della cooperativa sociale "Lo Sciame" ha voluto terminare con una frase riassuntiva di Peppino, con l'invito ai presenti di di diventare uomini e donne migliori: "Se si insegnasse la bellezza alla gente, la si fornirebbe di un'arma contro la rassegnazione, la paura e l'omertà. Bisognerebbe educare la gente alla bellezza perché negli uomini e nelle donne non si insinuino più l'abitudine e la rassegnazione, ma rimangano sempre vive la curiosità e lo stupore."

M.Pen.
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