LIBRI CHE RIMARRANNO/51: ''Lady Constance Lloyd. L’importanza di chiamarsi Wilde'' di  Laura Guglielmi

Non so cosa sia più difficile tra rendersi conto di aver sposato un dandy scialacquatore, scoprire una relazione omosessuale del proprio marito, vederlo finire in prigione, dover cambiare il cognome ai propri figli perché non sarebbero bene accetti nelle scuole di un certo tipo, omettere dal proprio stato il cognome stesso del marito per evitare sorrisetti, essere una scrittrice di talento e sacrificare il proprio genio a quello, follemente irresponsabile, del marito.
Tutto questo fu Constance Mary Lloyd, per tutti semplicemente e solo la moglie sfortunata di Oscar Wilde.
Che in verità fu molto di più che una semplice ombra lo sa ogni donna, ma ci voleva una donna per raccontarlo davvero nel modo giusto.
Quello di Laura Guglielmi, "Lady Constance Lloyd. L'importanza di chiamarsi Wilde" (Morellini, 2021, pp. 246, Euro 17,90) avrebbe potuto essere un saggio letterario e invece è un romanzo. Ed è questo il modo giusto per raccontare la storia avventurosa e tenera di una donna che merita queste pagine anche solo per sé stessa. Se è vero che si affretta forse la lettura del primo atto ("Memorie di una ragazza irlandese 1858-1880") per la curiosità di arrivare agli anni che gettino più luce sui rapporti coniugali dei due (il secondo atto, "La forza delle cose 1881-1894"), è altrettanto vero che alla fine i passi più efficaci, le pagine più intense sono quelle in cui Oscar non c'è, ed è Constance a parlare di sé, non di lui.
"Quando non sei sul tuo piedistallo non sei interessante", scrive lord Alfred Douglas, per tutti "Bosie", il casus belli che fece condannare lo scrittore ai lavori forzati, a Oscar. E nel suo cinismo - dalle pagine della Guglielmi emerge bene quale sia stato il ruolo di Bosie, tutt'altro che un puro giovinetto sedotto dal lascivo Wilde! - lord Douglas ha ragione: senza scadere nel pettegolezzo, il romanzo di Laura Guglielmi ci fa osservare Oscar e Constance dalla loro stessa altezza, ed è quando va a ripescarli nelle loro bassezze (di entrambi) che ce li restituisce più veri, perché più indifesi.
Uno scrittore non dovrebbe mai difendersi per quello che scrive, sia perché l'arte è una sorta di zona franca della morale, secondo il celeberrimo adagio di Wilde ("non esistono libri morali e libri immorali: esistono libri scritti bene e libri scritti male"), sia perché non ne è capace: le pagine che ritraggono Wilde sul banco degli imputati al processo per omosessualità sono disarmanti. Recita sé stesso, fa battute come se tenesse una conferenza delle sue, risponde in modo ironico e sprezzante, o semplicemente in modo troppo colto, sbaglia registro e perciò si rovina da solo.
Non sbaglia registro invece Laura Guglielmi: la voce di Constance è limpida e diretta, la prosa è scorrevole, oserei dire quasi "facile" se non temessi che questo aggettivo venisse preso come un giudizio negativo sullo stile.
Scritto in prima persona, come un diario intimo, si legge davvero volentieri. È un libro adatto per chi si occupa di letteratura, è un libro adatto per chi vuole capire un po' di più dell'animo umano, e anche di quella tarda età vittoriana che ha così coraggiosamente anticipato molti dei comportamenti del Novecento, rimanendo nel contempo vittima del puritanesimo ottocentesco.
Eviterei di farne a tutti i costi un libro di battaglia femminista, anche se oggi pare andare molto di moda e la collana in cui è inserito forse strizza l'occhio proprio a questo aspetto.
Non esistono libri maschilisti e libri femministi, esistono libri scritti bene e libri scritti male. Questo è scritto molto bene.

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Rubrica a cura di Stefano Motta
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