LIBRI CHE RIMARRANNO/48: ''Il gatto del Papa'' di Flavio Insinna
In questi giorni di cronache difficili e di bambini spaventati mi piace consigliare una lettura di quelle che si definirebbero "leggere". Del resto era il marzo di due anni fa quando proprio sulle pagine di questa testata accompagnavamo i pomeriggi dei bambini costretti in casa per il lockdown con le nostre filastrocche, che illustrate da Fiammetta Brumana sono poi diventate "Mascarpone", un albo nato a Merate e pubblicato dalle Edizioni del Faro di Trento.
Sono passati due anni, parrebbe passata la paura per il virus eppure non è finita la fame di storie buone da parte dei bambini, che hanno mille domande sulla guerra ma, soprattutto, sull'umanità.
A mio figlio piccolo ho letto questo libretto di Flavio Insinna, "Il gatto del papa" (Rai Libri, 2021, pp. 109, Euro 16,00). L'autore gli era familiare perché lo accompagna ogni sera alla televisione fino a quando mi chiede di spegnere, perché il telegiornale delle otto dà sempre notizie "della battaglia", dice lui, e ne è intristito e spaventato. Anche il protagonista gli è familiare, perché al secolo fa Jorge, Giorgio, come lui, e perché il papà l'ha incontrato di persona questo papa, anche se non ne parla mai.
Quella raccontata da Flavio Insinna è una storiella semplice, un po' Sepúlveda un po' Asterix: non sappiamo se questo gattone nero di Insinna si chiama Zorba, ma ha qualcosa da insegnare all'uomo vestito di bianco che pare aver dimenticato l'arte del volo, e si trascina pigramente disilluso nelle sue giornate. Quando lo incontra nei suoi appartamenti, misteriosamente intrufolatosi da una finestra dimenticata aperta (o era chiusa?), il primo pensiero va al colore del gatto, e a qualche retaggio stregonesco: chi è questo gatto nero che parla così sfacciatamente all'uomo vestito di bianco? Quando seguiamo il papa nel suo ingarbugliarsi tra la burocrazia della sua stessa cancelleria papale il pensiero va alle "Dodici fatiche di Asterix". Quando disorienta la sua segreteria sembra di vedere in filigrana "Habemus papam" di Nanni Moretti.
Ma queste cose mio figlio Giorgio non le sa: a lui basta la storia di un gatto parlante, di un uomo importante che vorrebbe fare di più e non ci riesce o non crede di poterci riuscire. Sullo sfondo c'è Roma, coi suoi gatti presenti ovunque, veri imperatori delle rovine, diabolici conoscitori del cuore umano.
"Una piccola favola senza tempo", recita il sottotitolo. Che cade però in questo nostro tempo così difficile da decifrare. Mentre mio figlio conta gli starnuti del papa, allergico a questo gatto, io trattengo per me questi due passaggi, in cui il gattone fa da grillo parlante per chiunque di noi sia diventato, con l'età, allergico al coraggio di avere un'idea buona nel mondo:
"Probabilmente a molti dirai quello che non vogliono sentirsi dire, ma ricordati sempre una cosa: non devi parlare alla pancia dei popoli. La pancia va solo riempita di cibo guadagnato onestamente e non di bugie. Parlerai alle menti, all'anima delle persone, e allora queste verranno con te. Devi bussare a tutte le porte, una dopo l'altra. Qualcuno ti aprirà, qualcuno no, ma almeno costringi la gente a schierarsi. È troppo comoda l'indifferenza" (p. 86)
"Fallirai! Almeno però sarai stato un sasso che cade nell'acqua, e tutti i cerchi che farai nascere seguiranno la tua strada" (p. 87).
Sono passati due anni, parrebbe passata la paura per il virus eppure non è finita la fame di storie buone da parte dei bambini, che hanno mille domande sulla guerra ma, soprattutto, sull'umanità.
A mio figlio piccolo ho letto questo libretto di Flavio Insinna, "Il gatto del papa" (Rai Libri, 2021, pp. 109, Euro 16,00). L'autore gli era familiare perché lo accompagna ogni sera alla televisione fino a quando mi chiede di spegnere, perché il telegiornale delle otto dà sempre notizie "della battaglia", dice lui, e ne è intristito e spaventato. Anche il protagonista gli è familiare, perché al secolo fa Jorge, Giorgio, come lui, e perché il papà l'ha incontrato di persona questo papa, anche se non ne parla mai.
Quella raccontata da Flavio Insinna è una storiella semplice, un po' Sepúlveda un po' Asterix: non sappiamo se questo gattone nero di Insinna si chiama Zorba, ma ha qualcosa da insegnare all'uomo vestito di bianco che pare aver dimenticato l'arte del volo, e si trascina pigramente disilluso nelle sue giornate. Quando lo incontra nei suoi appartamenti, misteriosamente intrufolatosi da una finestra dimenticata aperta (o era chiusa?), il primo pensiero va al colore del gatto, e a qualche retaggio stregonesco: chi è questo gatto nero che parla così sfacciatamente all'uomo vestito di bianco? Quando seguiamo il papa nel suo ingarbugliarsi tra la burocrazia della sua stessa cancelleria papale il pensiero va alle "Dodici fatiche di Asterix". Quando disorienta la sua segreteria sembra di vedere in filigrana "Habemus papam" di Nanni Moretti.
Ma queste cose mio figlio Giorgio non le sa: a lui basta la storia di un gatto parlante, di un uomo importante che vorrebbe fare di più e non ci riesce o non crede di poterci riuscire. Sullo sfondo c'è Roma, coi suoi gatti presenti ovunque, veri imperatori delle rovine, diabolici conoscitori del cuore umano.
"Una piccola favola senza tempo", recita il sottotitolo. Che cade però in questo nostro tempo così difficile da decifrare. Mentre mio figlio conta gli starnuti del papa, allergico a questo gatto, io trattengo per me questi due passaggi, in cui il gattone fa da grillo parlante per chiunque di noi sia diventato, con l'età, allergico al coraggio di avere un'idea buona nel mondo:
"Probabilmente a molti dirai quello che non vogliono sentirsi dire, ma ricordati sempre una cosa: non devi parlare alla pancia dei popoli. La pancia va solo riempita di cibo guadagnato onestamente e non di bugie. Parlerai alle menti, all'anima delle persone, e allora queste verranno con te. Devi bussare a tutte le porte, una dopo l'altra. Qualcuno ti aprirà, qualcuno no, ma almeno costringi la gente a schierarsi. È troppo comoda l'indifferenza" (p. 86)
"Fallirai! Almeno però sarai stato un sasso che cade nell'acqua, e tutti i cerchi che farai nascere seguiranno la tua strada" (p. 87).
La prima citazione calza a pennello per un papa. La seconda va bene per ognuno di noi.
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Rubrica a cura di Stefano Motta