LIBRI CHE RIMARRANNO/47: ''Il grande peccatore'' di Ferruccio Parazzoli

Ci voleva l'improvvida decisione dell'Università Bicocca di Milano di sospendere un corso di letteratura e le giustificazioni a posteriori della stessa Università, che facendo marcia indietro a velocità inusitata ha sfracellato il paraurti come il più idiota dei guidatori (l'aggettivo è letterario, ovviamente), per portare sulla bocca di tutti il nome di uno dei più grandi scrittori mondiali, Fëdor Michajlovič Dostoevskij.

Così, dopo essere stati per un paio d'anni virologi, appena terminato il corso di esperti di curling - si deve pur sempre riconoscere a Putin di aver rispettato la tregua olimpica! - e ottenute sul web, nel tempo di un'invasione, due lauree in relazioni internazionali e tattiche militari, ci è toccato immergerci nella letteratura russa, densa di nomi impronunciabili e concetti altissimi, ridotti purtroppo a tifoseria.
Poiché questa nostra rubrica si occupa di letteratura, e poiché Dostoevskij, insieme a tanti altri, fa parte di quegli scrittori di cui molti parlano senza averne letto più che qualche pagina qua e là, mi sembrava doveroso dedicargli uno spazio.
Lo farò di sbieco, affrontando non uno dei suoi romanzi, che so conosciuti integralmente e amati intimamente dai venticinque lettori che qui mi seguono, ma proponendo una prospettiva insolita e molto interessante, una specie di "antibiografia". Non nel senso ostile con cui i disturbi iconoclasti di certa cultura, anche accademica, stanno attaccando tutto ciò che abbia origini russe, bensì nel senso antieroico, antiagiografico del termine.
Ripesco perciò volentieri un romanzo di Ferruccio Parazzoli uscito tre anni fa "Il grande peccatore" Bompiani, Milano 2019, pagg. 240, Euro 17,00.
All'epoca lo sottovalutai, lo confesso. Trovai banale l'incipit, con il solito trito espediente del manoscritto ritrovato, e un po' sensazionalistici alcuni passaggi. Ma il tempo è galantuomo con i libri interessanti, e i fatti di cronaca mi hanno suggerito di riprenderlo in mano.
È il 31 gennaio del 1881 quando, di ritorno dai grandiosi funerali dello scrittore, tale Vrazumichin (senza la "V" iniziale è niente meno che l'amico di Raskol'nikov in "Delitto e castigo": lo rivela lui stesso subito a pagina 10) decide di scrivere questa che sempre lui stesso definisce "antibiografia".
Ci stava già pensando la seconda moglie dello scrittore, la stenografa Anna Grigor'evna, a scrivere l'agiografia. Vrazumichin, invece, racconterà la verità su quell'artista maledetto che, nelle sue pagine, risponderà semplicemente alla sigla "FM", Fëdor Michajlovič.
Dopo la liberazione dello scrittore dalla prigionia in Siberia, Vrazumichin dice di esserne stato l'amico, il confidente, talora addirittura l'ispiratore. Nell'analisi del metodo di lavoro di Dostoevskij il narratore rivela come il grande scrittore "aveva assoluto bisogno di un puntello per dare il via alle sue storie: un fatto di cronaca, una discussione politica, un dramma amoroso, anche soltanto il volto di uno sconosciuto incontrato sul marciapiede. Senza quel puntello era finito, girava a vuoto. Non inventava nulla, aveva bisogno della realtà, di un fatto, di una persona".
Nel caso, il fatto glielo forniva lui. Come quel Rodion Romanovič Raskol'nikov, amico suo, che egli avrebbe istigato apposta a compiere un delitto inutile, banale, per fornire pretesto di racconto per "Delitto e castigo".
Ci sarebbe stata materia per farne un grandissimo romanzo, e invece, rileggendolo ancora, percepisco un po' di stanchezza e leziosaggine. Troppe preoccupazioni di aderenza filologico-storica alla biografia di Dostoevskij, troppo citazionismo intertestuale, troppi livelli di lettura: Parazzoli dice di trascrivere la traduzione che un suo amico ha fatto di questo libricino in cui un aspirante scrittore che si firmava Razumichin faceva parlare Dostoevskij!
La trovata che in Manzoni era un gioco di ruoli con l'anonimo, usato come una controfigura, diventa qui una specie di spettacolo ventriloquesco in cui non si capisce più di chi sia e da dove venga la voce che parla.
Il libro di Parazzoli è però un avvicinamento interessante alla persona di Fëdor Michajlovič, prima ancora che allo scrittore Dostoevskij, e nessun delitto compiuto oggi da alcun suo compatriota può essere un castigo postumo per l'autore, tra gli altri capolavori, dell' "Idiota".

PER LEGGERE LE RECENSIONI PRECEDENTI CLICCA QUI
Rubrica a cura di Stefano Motta
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.