LIBRI CHE RIMARRANNO/46: ''La bambina più forte del mondo'' di Silvia Salis
E su questo "prima donna" la storia mi si inciampa.
Quando sono incappato in questo libro, grazie a una collega di Scienze Motorie, ho avvicinato la storia di Silvia Salis con molto interesse, letterario e sportivo. Mi piaceva l'idea che una campionessa di una disciplina insolita raccontasse le proprie conquiste e le proprie cadute, metafore, come tutto nello sport, della quotidiana e comune sfida di vivere bene e felici. In un mondo di calciofili mi incuriosiva l'originalità della disciplina, il lancio del martello, antica e ancestrale, non il fatto che a praticarla fosse una donna.
Per questo dico che c'è la storia, in questo libro per ragazzi uscito a gennaio, "La bambina più forte del mondo"; Salani 2021, pagg. 176, Euro prezzo 13,90).
E c'è il personaggio, Silvia Salis, moglie del regista Fausto Brizzi ma soprattutto ex atleta ora impegnata in ruoli decisivi per la politica dello sport in Italia.
E c'è la causa: i proventi del libro verranno devoluti all'istituto "Gaslini" di Genova.
E poi mi manca il resto.
Quando l'autrice lo definisce in un'intervista "una favola ispirazionale sulla parità di genere" fa un assist commerciale al libro e un autogol alla storia, purtroppo.
Tralasciando il fatto che sarebbe una fiaba, non una favola, perché questi son tecnicismi che annoiano, è l'impostazione di libro "a tema" che rovina la storia, è il voler dimostrare a tutti i costi una tesi, lanciare a tutti i costi un messaggio, infarcire i passaggi più fiabeschi e visionari della storia con aforismi da adulti che stonano in bocca alla piccola protagonista e alla sua immaginifica fantasia che disegna mondi sul campo di atletica di Villa Gentile, a Genova.
Stella va a vivere lì sin dall'età di tre anni, seguendo il padre che è custode di quella struttura, e lì si innamora di una disciplina che viene definita "da maschi": il libro mescola episodi autobiografici dell'autrice con altri che sono chiaramente degli espedienti narrativi, e ne segue i passi volitivi e ostinati in un mondo apparentemente non adatto. Poi però non si capisce perché allora esistano le competizioni di lancio del martello con tante altre avversarie femminili, se questa esperienza è davvero così unica. Perché di unico non dovrebbe esserci la disciplina della martellista femmina in sé, ma l'esperienza interiore della bambina che cresce.
Questo è il lancio nullo dei libri costruiti a tesi.
Consigliava Cicerone ai giovani che volevano intraprendere la carriera retorica: "rem tene, verba sequentur". Che in italiano suona liberamente così: "padroneggia il contenuto e le parole verranno da sé".
Non c'è dubbio che Silvia Salis possegga la materia, sia per esperienza diretta personale sia per le competenze maturate nel suo ruolo più "politico" attuale. E che l'intenzione di raccontare la propria storia di bambina e di sport per fare oltretutto del bene sia nobilissima.
Sarebbe bastato questo per rendere il libro una lettura da consigliare a tutti i bambini delle scuole: una delicata e avvincente fiaba di formazione.
È il volerlo a tutti i costi spendere come rivendicazione di genere che lo fa inciampare, perché le parole in molte pagine appaiono affettate, costruite, un po' finte. Un editing stilisticamente più curato e meno markettaro avrebbe reso questa storia un libro migliore. Che forse avrebbe venduto meno. O forse no.
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