Il ricordo del ponte san Michele quando avevo 8 anni...

Myriam e Bianca
Sono una signora che abita a Travacò Siccomario (Pavia), ma i miei genitori e nonni sono nativi di Verderio Superiore.
Sento parlare e leggere del Ponte di San Michele di Paderno d'Adda ed io mi ricordo, quando ero una bambina di otto anni che mio padre, quando abitavamo ancora a Milano, per la prima volta mi portò a vederlo. Vorrei far rivivere a tutti voi la mia emozione di allora. Ero con i miei genitori e mia sorella piccolina che recentemente è scomparsa. Un giorno o l'altro ritornerò per riammiralo ancora, visto il suo restauro.
Il senso di vuoto lasciato da mia sorella mezzana si materializza e il mio antidoto al magone è accendere il computer e affidargli i pensieri che affiorano da giorni lontani. Certo, è l'unico modo perché le persone non ci lascino è conservarne il ricordo per chi non le ha conosciute. Questo del ponte è uno di questi ricordi.
Doveva essere maggio o giugno del 1961. Papà Giovanni (Oggioni, dei pulet), con i nonni, volle portarci a vedere il Ponte di San Michele che distava poco dal suo paese nativo: Verderio. Ricordo che Bianca Viganò, la più anziana tra le cugine di papà ancora in vita con oltre 90 anni, ci prestò un passeggino per poter portare anche la sorellina, che all'epoca aveva sei mesi.
Nella primavera del 1961 avevo compiuto da poco gli 8 anni e mentre macinavamo il chilometro e mezzo che separava il paese dal ponte, papà prese a raccontarci.
"Pensate alla torre Eiffel che c'è nella nostra palla di neve. Il ponte ha un'unica campana tutta in ferro senza saldature, ma è chiodato". Era tornitore specializzato, amava la meccanica, e si buttò nella descrizione. Poi orgoglioso proseguì: "Il ponte ad arco più grande del mondo, neanche Leonardo da Vinci che di qui è passato, se lo sarebbe potuto immaginare."
In effetti quando lo scorgemmo ci impressionò, ma ancora di più lo fecero le parole di papà: "Il progettista il giorno dell'inaugurazione si è lanciato nel fiume perché temeva che il ponte non avrebbe retto. Ponte dei suicidi lo chiamano perché molti altri si sono gettati".
Nel frattempo l'avevamo raggiunto, procedendo in fila indiana cominciammo l'attraversamento.
Il fiume Adda sotto correva impetuoso. Sentivamo le lastre del selciato vibrare al passaggio del passeggino. La gita divenne un incubo. Io e mia sorella ci affiancammo e ci tenemmo strettamente per mano. Giungemmo alla fine del camminamento e sostammo ad ammirare il paesaggio. Ci tenne più col fiato sospeso l'idea di doverlo riattraversare che la magnificenza del panorama che papà orgoglioso andava illustrandoci. Poi riprendemmo il percorso inverso. Quando ci trovammo nel mezzo, nella parte sottostante transitò, con gran fracasso, un treno, provocando un terribile trambusto. Noi due ci abbracciamo convinte che saremmo precipitate. Guardai curiosa di sotto, attratta dalla potenza della corrente. Delle rocce affioranti mi parvero grossi pesci in attesa di divorarci. Non sono mai stata temeraria. Tenni chiusi gli occhi finché cessò il rumore di ferraglia e le nostre gonnelline smisero di gonfiarsi per via dell'aria prodotta dal passare dei vagoni e tornarono a coprirci le gambe tremanti. Finalmente, grazie al cielo, conquistammo la strada che conduceva verso il paese. Saltellando, sempre tenendoci per mano, ci mettemmo a cantare a squarciagola: "Siamo vive, siamo vive".
Papà ci disse che eravamo proprio due oche e ci fece notare che l'aveva attraversato un'infinità di volte quel ponte che aveva resistito anche ai bombardamenti!
Quando arrivammo alla casa di Bianca, il figlio salì su un ciliegio e prese a lanciarci i frutti succosi. Noi due pronte sollevammo le gonne per raccoglierle in grembo. Finì che facemmo una scorpacciata di ciliegie e di sculacciate che mamma ci rifilò quando vide le gonne macchiate.
Un anno fa ho letto che quella del suicidio dell'ingegnere è una leggenda metropolitana.
Ora il ponte è stato riaperto e ci passa anche una pista ciclabile. Presto, spero, ci sarà un fratello, più ampio...
Mi sa che, a sessant'anni di distanza, prima o poi carico la bici sul treno, scendo a Calusco e mi prendo la soddisfazione di attraversarlo in treno e ripercorrerlo in bici, perché da quel giorno non ci sono più passata su quel ponte.
Myriam Oggioni
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