Dalla Regione l’incentivo a rispettare i tempi di attesa per gli interventi oncologici. Ma col sistema inverso e senza risorse

L'obiettivo è condivisibile. Ma la modalità per conseguirlo appare decisamente assurda. Di solito per incentivo si intende una maggiorazione, per esempio i direttori generali di ASST e ATS i cui compensi si aggirano attorno a 200mila euro l'anno più si avvicinano al traguardo fissato dagli obiettivi regionali e più incrementano il bottino con le indennità di risultato. Ma se anche non colgono tali obiettivi il bottino resta attorno a 200mila euro l'anno.

L'assessore Letizia Moratti

Con Decreto Giunta Regionale XI/5883 del 24 dicembre scorso, titolato "Misure per la riduzione dei tempi d'attesa - Approvazione del nuovo modello di remunerazione delle prestazioni" l'assessorato retto dalla vice presidente Letizia Maria Brichetto Arnaboldi, vedova Moratti, d'intesa col presidente Fontana e la Giunta di centrodestra ha varato un provvedimento che, rispetto alla remunerazione dei proconsoli in ASST e ATS viaggia al contrario: se raggiungi gli obiettivi percepisci il 100% del Drg (che sarebbe tradotto volgarmente il costo della prestazione sanitaria), se invece non rispetti i tempi regionali tale Drg viene progressivamente ridotto.

Per il momento tale meccanismo funziona solo in riferimento ai ricoveri oncologici (tumori) di classe A. Dura un solo anno, il 2022 nel corso del quale, però potrebbe essere esteso ad altre tipologie di ricovero e alle prestazioni ambulatoriali.

A informare i direttori dei presidi lecchesi è la Direzione strategica dell'Azienda che in data 14 febbraio ha diramato la nota operativa decorrente dal 1° aprile prossimo.

Per comprendere meglio il significato di questa manovra facciamo esempi concreti: l'intervento chirurgico oncologico in classe A (urgente) deve essere effettuato entro 30 giorni. Fino a 9 giorni oltre i 30, il Drg viene comunque pagato al 100%. Da 10 a 19 giorni, tale "costo" viene rimborsato dalla Regione al 95%, poi al 90% e giù giù fino al 50% nel caso in cui l'intervento sia eseguito 180 giorni dopo i 30 accademici.

 

Qui ci sorgono due domande spontanee:

1) Ma se l'intervento era urgente è possibile che sei mesi dopo il paziente sia ancora in lista d'attesa? Non può darsi che sia andato altrove o ahinoi sia già deceduto nelle more di entrare in sala operatoria?

2) Quand'anche il paziente fosse ancora in vita e in attesa della chiamata, se l'intervento viene eseguito il costo è lo stesso riconosciuto in caso di rispetto del tempo tabellare. Come si può pensare che pur costando 100 l''azienda ospedaliera si faccia bastare 50?

Ma a parte questi rilievi di buon senso la domanda suprema è: se tu Regione mi dai uomini e mezzi per rispettare i tempi che tu regione mi imponi, io ospedale sicuramente raggiungo gli obiettivi prefissati perché è nel mio interesse e poi, perché no, è pure il mio mestiere salvare la gente intervenendo chirurgicamente il prima possibile.

Ma se tu regione non mi dai le risorse per cui mi mancano gli anestesisti, ho pochi chirurghi e meno ancora ferriste, insomma se non mi metti nelle condizioni di utilizzare le sale operatorie come puoi pretendere che io ospedale rispetti i tuoi obiettivi?

Non posso percorrere in mezzora 40 km a piedi, se vuoi che lo faccia mi devi almeno dotare di un motorino.

Va anche detto che è sorprendente l'invito a ".....rivalutare le condizioni cliniche per una eventuale re-immissione in lista nella classe di priorità più appropriata di pazienti in classi B, C, D in attesa da anni...". Possiamo sbagliarci ma un paziente in classe B, media urgenza il cui intervento deve essere eseguito entro 60 giorni, dopo un anno probabilmente è andato altrove. Oppure era stato immesso per errore in B, ma avrebbe dovuto andare in D, classe che, peraltro, prevede l'operazione chirurgica non oltre i 365 giorni.

Infine appare azzardato richiamare la responsabilità aziendale, e quindi dirigenziale (cioè dei dirigenti di reparto) del mancato conseguimento dei risultati di salute e assistenziali prescritti dal sistema. Nel mondo immaginario dove tutto è possibile ciò deve avvenire per "...garantire il miglior servizio al cittadino....", ma nel mondo attuale, cioè nella nostra ASST dove i pazienti in lista d'attesa di un intervento in Chirurgia generale e in Ortopedia sono centinaia forse la responsabilità andrebbe cercata altrove.

Comunque sia, i soldi risparmiati pagando meno i ritardatari andranno a vantaggio dei presidi più rigorosi (o meglio attrezzati). Il pubblico nel proprio circuito e il privato accreditato nel proprio. Fortunatamente i risparmi sul pubblico (sicuri) non andranno a costituire un tesoretto per i privati (almeno secondo la nostra interpretazione del DGR).

Ma i rischi per le aziende minori restano altissimi: è evidente che i grandi ospedali molto più attraenti per i medici versano in condizioni decisamente migliori dei piccoli presidi, come Merate ad esempio. Per cui questo meccanismo al ribasso minaccia pesantemente di colpire le aziende periferiche come quella lecchese. Secondo il Decreto regionale il budget 2023 non terrà conto dei risultati conseguiti nell'anno corrente. In sostanza il pareggio di bilancio sarà raggiunto sempre con i contributi in conto esercizio. Ma la filosofia che sottende questo Decreto è pericolosa perché se estesa ad altre patologie o allungata in termini temporali minaccia davvero la sopravvivenza dei presidi che non sono in condizioni di rispettare gli obiettivi. Ma non per cattiva volontà degli operatori. Ma per mancanza di operatori.

Ed è questo distinguo a fare la differenza.

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