Merate: alcolisti e famigliari si raccontano agli studenti del Viganò. ''La bottiglia è un'illusione che ruba tutto con interessi da usuraio''

Sono state testimonianze forti e toccanti quelle che gli studenti del Viganò di Merate hanno potuto ascoltare (e apprezzare data l'attenzione che hanno mostrato durante gli interventi, ndr) dalla voce di persone che hanno combattutto e vinto la loro battaglia contro l'alcool. Chi in prima persona in quanto consumatore e chi, invece, indirettamente da famigliare, ma non per questo meno coinvolto.



Presenti nell'aula magna di via dei Lodovichi alcuni rappresentanti di Alcolisti anonimi Italia e di Alanon, due associazioni impegnate appunto in prima linea su questa dipendenza.
Perchè l'alcool è una dipendenza, che spoglia la persona della sua lucidità ma anche della sua libertà e sconvolge gli equilibri e la serenità di una famiglia che piomba in un inferno da cui uscirne è un cammino lungo, difficile e faticoso.

"Dalla dipendenza si può uscire: basta essere onesti e accettare l'aiuto". Si conclude così la testimonianza di Paolo che, in una decina d'anni, arriva a sfiorare i 50 kg. I primi bicchieri dopo il militare, poi il trasferimento in Lombardia con la famiglia e lo scombussolamento che deriva da un contesto diverso. I bicchieri diventano uno, due, tre. "Tutto cambiava bevendo, ero meno introverso, più spigliato in quella nuova terra, mi sentivo più libero e sicuro. Ma è stato l'inizio dell'inferno". Il ricovero in ospedale e l'incontro con i gruppi degli alcolisti anonimi sono l'inizio del suo cammino di recupero. "La resa di fronte all'evidenza di quello che ero diventato è stato l'inizio di una nuova vita. L'alcool è stato un'illusione che ha voluto tutto indietro con interessi da usuraio".

Maria ha incrociato l'alcool con la dipendenza del figlio vittima di una emorragia gastrica, la stessa che aveva portato il marito nonché padre del ragazzo alla tomba. "L'alcolismo è considerato una malattia della famiglia perchè va a influenzare il quotidiano di tutti". Nei gruppi dei parenti, mentre il figlio perde la moglie, la casa, il lavoro e continua a ripetersi "smetto di bere quando voglio, Maria si sente dire che fino a quando quel ragazzo non toccherà il fondo non potrà farci nulla. E così sarà. Dopo tre anni di comunità, la guarigione e la rinascita arrivano solo grazie alla volontà.

L'alcool ha lasciato sul suo fisico i segni della devastazione, della sofferenza ma la forza d'animo, il coraggio e la determinazione sono stati i tratti salienti della testimonianza di Sara, quarantenne che per tre anni e mezzo è stata una bevitrice "attiva", di quelle che la mattina si svegliano, ordinano le cassette di vino e arrivano a sera solo dopo essersele scolate tutte. "Mi sono chiusa in casa camminando, sono uscita in barella" ha raccontato al giovane pubblico che davanti ha lei si è chiuso in un silenzio silenziosissimo, prestandole un'attenzione rispettosa. Vittima di bullismo per il suo fisico non propriamente atletico, Sara si tuffa nel primo bicchiere e da quel momento non lo lascia più. È l'inizio della sua rovina e del suo inferno. "E' stata la mia ecatombe. Non vivevo più, non mangiavo, non mi lavavo, non uscivo". Raggiunto il fondo, ad aiutarla sono stati il medico di famiglia e l'assistente sociale. Il viaggio in ambulanza verso l'ospedale è stato la sua salvezza. Sara ha passato sei mesi in sedia a rotelle poiché il suo fisico non reggeva più nemmeno i suoi trenta e qualche chilo. L'incontro con gli alcolisti anonimi rappresenta la svolta. "Mi hanno raccontato la loro storia senza dirmi cosa dovevo fare. Ho capito che dovevo sbattermi e che ero una miracolata. Quattro volte ho rischiato di morire, ho avuto due setticemie, sono stata obesa. Ho toccato il fondo e finalmente ho trovato le motivazioni giuste per ripartire e ora la vita non la spreco più. Accetto le cose che non si possono cambiare e cambio quelle che posso".


La sua era la "famiglia del mulino bianco". O almeno così pensava Amedeo. Un lavoro ben avviato, una casa, una moglie e dei figli. Fino a quando le preoccupazioni di lavoro non mettono in crisi la routine famigliare con giornate in ufficio che non finiscono mai, conti che non tornano, problemi che sembrano moltiplicarsi invece che risolversi. Amedeo che resta in azienda e la moglie che, invece, si trova una casa e le sue incombenze sulle spalle. Completamente da sola. Non ce la fa più e la stampella la trova nell'alcool. Un bicchiere dopo l'altro, una bottiglia dopo l'altra. Fino a quando il ritorno a casa per Amedeo è un dramma più ancora che il lavoro che va male. L'incontro con i gruppi per il sostegno ai famigliari è il primo vero aiuto. "Tu non ci puoi fare niente, è lei che deve toccare il fondo" si sente dire Amedeo. E così accade. Quando al rientro a casa la trova stesa a terra, completamente ubriaca, non la porta a letto o sul divano, come faceva prima, ma si limita a coprirla per non farle prendere freddo. E basta. Pian piano è la donna stessa ad accorgersi che qualcosa era cambiato e che il primo passo per la salvezza, la sua e quella della sua famiglia, spettava a lei. Arriva così il primo ricovero e poi la frequentazione costante dei gruppi. E pian piano la rinascita.

"Ve lo dico col cuore di una mamma: l'alcool va tenuto lontano". È iniziato così il racconto di Anna, donna di mezza età che si è raccontata con sincerità, centellinando le parole. Poche ma essenziali. Non è entrata nel dettaglio di fatti e aneddoti ma ha lanciato dei messaggi. "L'alcolista è una persona che vuole solo bere e non si sa più fermare. L'alcool è il suo padrone. La nostra malattia è lenta, progressiva, arriva ad essere mortale ma la si può rallentare. Oggi vivo giorno per giorno, faccio 24 ore alla volta. L'alcool mi ha distrutto gli affetti, mi ha fatto perdere una parte dell'infanzia di mia nipote. Ma agli alcolisti anonimi ha trovato una realtà bellissima che mi ha accolto e mi ha salvato".

Toccante la testimonianza di Roberto, che ha affrontato l'alcolismo e le dipendenze da cognato e da padre. Nel primo caso, si è ritrovato ad avere a che fare con un uomo che, in casa con sua suocera, era diventato aggressivo per colpa della bottiglia. Dopo diversi ricoveri, raggiunto il fondo ha chiesto aiuto in famiglia. "Mi ha detto: ho i numeri di telefono degli alcolisti anonimi, ora so cosa fare. Da quel momento non più toccato una goccia". Il dramma più grande arriva però con il figlio ancora minorenne che, in difficoltà con la scuola, finisce sulla strada sbagliata. "Ero duro con lui, lo controllavo, lo rimproveravo aspramente, non avevo stima di lui e lui se ne accorgeva". Una sera viene fermato dai carabinieri con un quantitativo di droga a fini di spaccio. Finisce al Beccaria 10 giorni e poi una volta uscito inizia il recupero. "Ma lei vuole bene a suo figlio, mi dice un giorno un educatore? In quel momento ho capito di aver fatto fare una adolescenza difficile a mio figlio e ho iniziato a stargli accanto".

Terminate le testimonianze i ragazzi hanno potuto esprimere dubbi, domande, curiosità ponendo i loro quesiti su bigliettini anonimi che sono stati raccolti, letti e discussi. Segnale questo di una grande presa che l'argomento ha fatto su di loro grazie anche alla sincerità e semplicità con cui i relatori si sono presentati e messi a nudo senza vergogna.
S.V.
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