Verderio: le tragedie della storia ricordate negli scritti di chi le ha vissute

"Lo spirito della serata non è quello di fare confronti tra più morti o meno morti, ma di ricordare quello che è stato attraverso la lettura di brani e poesie scritti da persone vittime delle più atroci tragedie che si sono compiute tra il secolo attuale e quello scorso" con questo commento ha aperto la serata dedicata al ricordo, l'organizzatore, Marco Bartesaghi, appassionato di storia (non solo di Verderio) come scrive sul suo blog Bartesaghi-Verderio-Storia. L'evento - che avrebbe dovuto realizzarsi due anni fa - è stato pensato per il Giorno del Ricordo, istituito solo tardivamente, nel 2004, e celebrato per la prima volta l'anno successivo, in memoria dei massacri delle Foibe e dell'esodo dalmata-giuliano dove quasi 20.000 italiani persero la vita tra il 1945 e il 1947.


Al piano terra di Villa Gallavresi a Verderio giovedì sera, 10 febbraio, il silenzio è stato rotto soltanto dalla lettura di poesie e brani che alcuni tra i partecipanti hanno recitato accompagnati dal sottofondo musicale del musicista Doriano Riva.



"1 bambola di pezza, 5 libri da lettura, 8 giocattoli di legno" si legge nel verbale di Polizia datato 1 dicembre 1943. Gli oggetti sono di uno dei componenti della famiglia Milla, ebrei sfollati a Verderio. Erano stati sequestrati e consegnati alla portinaia. In questo caso le date sono significative, ha spiegato Bartesaghi, che con la lettura del verbale ha iniziato col ricordare l'Olocausto. Il 1° dicembre Ugo Milla - insieme alle sorelle Laura, Lina e Amelia, e al fratello Ferruccio - non si trovava a Verderio, ma nel carcere di San Vittore. Venne arrestato con il fratello nella notte del 13 ottobre, mentre le sorelle verranno catturate dalle SS qualche giorno più tardi a Milano dove erano scappate per fuggire ai rastrellamenti. Il 6 dicembre saliranno tutti e cinque su un treno diretto ad Auschwitz e l'11 verranno assassinati. Dei Milla, solo la moglie di Ugo, Lea, e la figlia Serena, oggi ancora viva, si salveranno. Poi è stata la volta dell'Est Europa. Il massacro di Srebrenica, città della Bosnia ed Erzegovina, del 1995 è stato ricordato attraverso l'opera d'arte "Ma Dove Eravamo" realizzata da Carlo Maria Corbetta, membro dello spazio espositivo Sorgente di Oreno. Sulla tela di legno combusto è ripetuta una mano, che è quella di un musulmano bosniaco morto rinvenuto in una fossa comune. Nel palmo "regge" un sacchetto contenente la terra di Srebrenica. Sotto ogni quadretto vi è il nome di un bambino bosniaco morto nel massacro e affianco quello di ogni ragazzo del gruppo "Wake up" (svegliatevi) che insieme a Corbetta ha fatto un viaggio in Bosnia, passando proprio per la città fantasma di Srebrenica e da dove è poi nata l'ispirazione al quadro. La sentenza ai crimini contro l'umanità commessi dagli ufficiali e i soldati dell'esercito serbo di Bosnia fu emessa dal Tribunale penale internazionale soltanto vent'anni dopo. I libri di storia testimoniano che l'esitazione da parte di Stati Uniti e Onu nel fermare la guerra civile non ha contribuito ad evitare il massacro.

L'opera di Elena Mutinelli



Di fronte al ricordo delle tragedie che hanno macchiato i secoli di storia soltanto gli intervalli musicali eseguiti con la voce del musicista Doriano Riva e la sua amata fisarmonica hanno saputo risollevare gli animi dalla severa riflessione che dopo la lettura dei brani arrivava puntuale a ognuno dei presenti. Ne ha eseguiti diversi tra cui "O Gorizia tu sei Maledetta", "Angelitos Negros", e "Non maledire questo nostro tempo".

Musica, arte e letteratura l'hanno fatta da padrone e dopo l'opera di Corbetta, Elena Mutinelli ha presentato le sue due esposizioni presenti in sala. Le mani sono un perno in entrambe e il suo l'intuito di creatrice l'ha spinta a voler ritrovare in esse "la speranza della vita violata per un errore, per il quale non ci diamo mai una risposta". L'identità di chi le ha compiute non è presente, ma al contrario si vede in una delle due opere la vita: un feto al centro di due mani che si stringono. "Questa è la responsabilità del prendersi cura della vita dell'uomo e di chi viene dopo di noi" ha concluso l'artista.


Il ciclo delle letture ha ripercorso anche il genocidio delle comunità Rom e Sinti nei campi di concentramento Nazisti, dove almeno 500.000 furuno ammazzati tra cui donne e bambini;la bomba atomica su Hiroshima il 6 agosto 1945 e tre giorni dopo su Nagasaki;la persecuzione dei Nativi Americani confinati nelle cosiddette "riserve indiane", lager perenni caratterizzati da alcolismo, disoccupazione e suicidi. Non è mancato poi il ricordo degli italiani morti a Fiume e la causa delle donne. È stata ricordata la figura di Emmeline Pankhurst, attivista britannica che lottò strenuamente affinché fosse concesso il diritto di voto alle donne istituito nel Regno Unito nel 1894, e poi il Requiem che Anna Achmatova, poetessa russa, compose durante gli anni della repressione staliniana e che ruota attorno alla estenuante attesa del figlio incarcerato a Leningrado. A chiudere il ciclo delle letture è stato un brano di Arek Hersh, nato a Sieradz in Polonia nel 1928 e sopravvissuto ai campi di concentramento nazisti il cui ritratto è stato commissionato, insieme a quello di altri sei sopravvissuti alla Shoah, dal principe Carlo proprio quest'anno per la giornata della Memoria. La lettura dei suoi scritti in lingua originale, e poi tradotta, ha ripercorso anche un passaggio in cui l'autore sembra ritrovare una certa "razionalità" rispetto al resto del racconto che pare privo di riflessioni. Solo quando ha in mano un coltello e può uccidere un nazista, si rifiuta, "perché è umano".

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I ringraziamenti finali sono arrivati dalla consigliera Cora Colnaghi, che ha contribuito alla realizzazione della serata.
F.Fu.
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