Un nuovo progresso nella storia della dignità umana?

Prima di tutto che cos'è la dignità umana? Una buona definizione la possiamo trovare in Kant:
"tutto ha un prezzo o una dignità: tutto ciò al cui posto è possibile mettere qualcosa di equivalente ha un prezzo; tutto ciò che si eleva al di sopra di ogni prezzo, e che quindi non può essere sostituito perché non ha eguali ha una dignità" e ancora "tratta te stesso e gli altri sempre anche come un fine e mai solo come un mezzo". Sembra chiaro che l'essenza della dignità dell'uomo risieda in come esso viene considerato (da se stesso e dagli altri, suoi simili).
Nel corso della storia il concetto di dignità umana ha subito un lungo quanto fondamentale percorso di evoluzione: ci abbiamo messo secoli a capire che gli esseri umani sono tutti cittadini del mondo e non solo appartenenti a questo o a quel Paese, sono serviti infiniti scontri diplomatici e bellici per comprendere che "tutti gli uomini sono pari in diritti e dignità" come afferma la dichiarazione universale dei diritti dell'uomo del 1948. Eventi storici epocali hanno segnato i passi di questa evoluzione, due su tutti sono stati sicuramente la rivoluzione francese di fine Settecento e la seconda guerra mondiale, dalla quale fu chiaro a tutti che la causa scatenante degli orrori dell'Olocausto fosse la mancata considerazione dei diritti e della dignità delle persone.
Ora la domanda che mi faccio è questa: può essere che quello che stiamo vivendo in questi mesi, ormai diventati anni, di pandemia segni un ulteriore progresso nella dignità umana ossia nella considerazione che ognuno ha dell'altro? E' possibile che questa esperienza possa davvero smuovere la coscienza collettiva dell'umanità come nel passato eventi ben più tragici e drammatici hanno fatto?
Ci troviamo ormai da tempo in una situazione nuova, mai provata prima, ci sono state altre epidemie certo, ben più feroci di questa ma qui si ha quasi la percezione di essere in guerra, mondiale, intesa questa volta non come scontro fra nazioni, dove il nazionalismo (anche a livello civile) la faceva da incontrastato padrone, ma come un'unione di popoli accumunati da uno stesso male, come cittadini del mondo in lotta contro un nemico comune che non si combatte con le armi (in quello siamo bravi) ma, quasi ironicamente per certi versi, seguendo le regole e avendo rispetto degli altri.
Una guerra da combattere anche contro noi stessi, contro la nostra propensione verso quella forma di "egoismo sociale" quasi innata che Kant non esiterebbe a definire "male radicale" (quel male radicato nell'uomo che lo spinge a commettere il male anche se sa che è sbagliato). Quell'egoismo sociale che spinge le (alcune) persone ad anteporre i propri pregiudizi, le proprie visioni contorte e sbagliate del mondo al bene comune, arrivando persino a negare l'evidenza pur di non lasciare la loro idea di ciò che sta succedendo attorno, non solo a loro, ma a tutto il genere umano.
Kant afferma che l'uomo è nel "regno dei fini" in cui è intrinsecamente unito agli altri dall' imperativo categorico "agisci solo secondo quella massima che tu puoi volere che divenga una legge universale". Oggi più che mai è così. Per comprendere meglio cosa intenda dire il filosofo di Konigsberg mi piace portare l'esempio di una mano, essa (il regno) è composta dalle dita (i fini, gli uomini, noi) unite dal palmo (la legge). Kant poi andrà avanti dicendo che ognuno deve rispettare questa legge per potersi dire membro del regno dei fini, (allo stesso modo ogni dita deve essere attaccata al palmo della mano per potersi dire una sua parte). La situazione che stiamo vivendo ora fa risaltare ancora di più la veridicità del suo pensiero.
Dovrebbe essere inutile (e invece purtroppo non lo è) rimarcare la differenza tra essere un degno componente del "regno dei fini" ed essere un anonimo membro di un gregge che segue ciecamente il resto del bestiame senza interrogarsi su nulla. La si deve sottolineare perché spesso l'accusa che viene mossa da chi è affetto da questa forma di egoismo sociale verso chi decide di seguire le direttive pensate per uscire da questa pandemia (la maggioranza delle persone per fortuna) è quella di non pensare con la propria testa ma semplicemente di seguire quanto gli viene detto di fare, senza pensare, come pecore in un gregge. Non potrebbero essere più nel torto di così!
La differenza tra l'appartenere al regno dei fini o ad un gregge risiede infatti proprio qui, nel farsi delle domande, nell'osservare la realtà che ci circonda in modo oggettivo riuscendo, se necessario, anche a mettere in dubbio quello che si crede di sapere su un argomento (tanto delicato come la situazione sanitaria attuale) e metterlo a confronto con le evidenze scientifiche, e con la realtà dei fatti che ormai da due anni ci stanno raccontando, urlando, la gravità della situazione e l'esigenza, per il bene di tutti, di porvi rimedio con i mezzi che si hanno (fortunatamente) a disposizione.
In conclusione non si può ancora rispondere alla domanda iniziale posta in precedenza, bisognerà attendere che tutto finisca per vedere se e quanto abbiamo appreso da questa esperienza. Tuttavia la storia ci insegna che l'uomo ha bisogno di ustionarsi per imparare (quando lo fa) che il fuoco scotta e a confronto di altre volte questa è (ancora) solo una lieve scottatura, ma la ferita sta bruciando ormai da due anni e di presupposti per un accresciuto discernimento morale e intellettuale dell'uomo e un conseguente progresso nella considerazione di sé stessi e degli altri (dignità umana), all'orizzonte, ancora non se ne vedono.
Germano Zazzeri
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