Merate: come gli artisti hanno ''vissuto'' il loro atelier durante i mesi di lockdown

Dall'esposizione delle opere che compongono la mostra alla comprensione della ricerca artistica alla base della loro realizzazione. Così, a una settimana dall'inaugurazione di "Arte al tempo del virus. Espressioni di libertà creativa" in Villa Confalonieri, molti degli artisti coinvolti nel progetto ideato dalla storica d'arte Elisabetta Parente hanno potuto raccontarsi e restituire il senso del proprio lavoro al tempo del Coronavirus. Domenica 23 gennaio, presso l'auditorium "Giusi Spezzaferri" tramite una conferenza i fruitori della mostra (visitabile il sabato e la domenica dalle ore 10.00 alle 13.00 e dalle 15.00 alle 19.00 fino a domenica 6 febbraio) hanno potuto conoscere gli autori delle opere, come hanno vissuto la pandemia e quali reazioni ha scatenato in loro il lockdown.

Il confinamento degli spazi imposto nel periodo delle chiusure generalizzate ha costretto in molti casi a un ripensamento del luogo e della modalità con cui esercitare la creatività. È stato questo lo spunto da cui è partita la prof.ssa Parente per indagare l'evoluzione dell'atelier nel corso dei secoli. "L'atelier è un posto intrigante, che dice molto dell'artista. Lo studio dell'artista però si è evoluto nel tempo in relazione alla considerazione che la sua figura ha avuto nella società" ha introdotto Parente. Quindi l'excursus temporale a partire dal Medioevo, quando il luogo di lavoro dello scultore combacia con il cantiere.

Elisabetta Parente

Il concepimento del laboratorio avviene in epoca umanistica, con la riscoperta della centralità dell'individuo, ma fino al primo Umanesimo l'artista è ancora un abile artigiano, ha rammentato la docente. Con il fiorire delle Accademie, lo status sociale dell'artista si evolve e viene considerato un dotto. La spiegazione dell'esperta è stata accompagnata dall'illustrazione di opere in cui il soggetto è proprio l'atelier. Per questa fase storica ha preso in prestito un'incisione di Enea Vico, in cui si notano tante figure intente a studiare materie scientifiche quanto letterarie.

Nicola Bertoglio

 Alice Bontempi

Renato Galbusera

Il Settecento è stato il periodo dei grandi viaggi in giro per l'Europa, l'Oriente e in taluni casi in Africa, per conoscere in prima persona il mondo e lasciarsi stupire dai luoghi esotici. Il laboratorio era itinerante. Il fascino della natura raggiunge forse l'apice con gli impressionisti e la loro pittura en plein air. Le rappresentazioni degli atelier visti dagli occhi degli artisti sono andate avanti fino al Futurismo e all'arte contemporanea.

L'interazione con il pubblico in auditorium è scattata con il coinvolgimento degli artisti che hanno prestato le proprie opere per la mostra in corso in Villa Confalonieri. Nicola Bertoglio, che nella sua "iphoneografia" sfrutta lo smartphone per catturare delle istantanee o registrare dei brevi filmati, ha raccontato: "Il mio atelier è il mio strumento. In pratica non c'è e può essere considerato tale il mio mondo. La fase di editing può avvenire ovunque: in metropolitana, nell'ufficio dove lavoro, ma soprattutto sul mio divano tra le 9 e le 11 di sera, quando raggiungo maggiormente la mia dimensione creativa. Diversamente è accaduto con la pandemia, quando ho riscoperto e ho ritratto i piccoli oggetti di casa. Ho cominciato a scattare foto di ciò che appare dalla finestra". Le sue fotografie esposte a Merate sono state stampate su alluminio. "Sono solito pubblicare istantaneamente le foto. Queste immagini le ho volute mettere su qualcosa di estremamente concreto".

Patrizio Brambilla

Anna Garau

Alessandra Angelini

Se per Bertoglio, la capacità di adattamento è stata la chiave per affrontare le condizioni dettate dal Covid, per Alice Bontempi confrontarsi con il silenzio e con la sensazione di estraneità ha comportato un maggiore sforzo, che ha voluto far rivivere ai visitatori della mostra nei sei minuti di video-autoritratto di totale immobilismo.

Renato Galbusera ha raccontato dell'abitudine che ha sempre avuto, insieme alla moglie Maria Jannelli, l'abitudine di far sconfinare nello spazio domestico il lavoro dell'atelier. Ha suggerito che andrebbe posta una riflessione su quanto andrebbe fatto per valorizzare le collezioni degli artisti una volta che non ci sono più. "Non esiste un pensiero collettivo in Italia su quale fine debba fare quel vero patrimonio di arte che rischia di andare perso".

Evocativa l'opera di Patrizio Brambilla, segnato dalla pandemia per dei lutti in famiglia. Un'invocazione laica, una sintesi tra il mondo senza speranza e la perfezione della forma a cui tendere, che è una rivisitazione del monolite originario di Stanley Kubrick in "2001: Odissea nello Spazio". "Il modo in cui abbiamo affrontato la pandemia ci dimostra che non sarà l'umano a salvarci. Kubrick aveva immaginato la divinità come un parallelepipedo, io ho voluto addolcirla, dandogli una forma cilindrica, più femminile". Al centro di un incavo, che rappresenta secondo l'autore la rivoluzione di cui si avrebbe bisogno, c'è una sfera, simbolo di una gravidanza. Il tutto è sorretto da un piedistallo, un settore sferico che rappresenta il mondo, spaccato da una evidente frattura. L'opera, in materiale termoindurente tra l'alluminio e le plastiche, è stata realizzata con la strumentazione per la produzione meccanica del precedente lavoro di Brambilla, abbondonato per tornare a dare ascolto alla sua vena artistica.

Isabella Sandon Tenca

Raffaella Perdicchia

C'è chi ha vissuto il lockdown traendo degli aspetti positivi. Anna Garau si è armata della scorta di colori e di tele riciclate. "È stato un periodo fertile di riflessioni necessarie" ha sintetizzato l'artista. Quasi in coro Alessandra Angelini ha ammesso che è stato un momento prolifico artisticamente e dunque positivo da un punto di vista creativo: "Nei momenti difficili è bene affrontare la drammaticità degli eventi, ma è bene sapere vedere anche il rosa della vita".

Il tempo sospeso è stato infine per Raffaella Perdicchia una catarsi. Parafrasando Benedetto Croce che si esprimeva sull'arte, l'autrice ha detto: "La scrittura è stata una liberazione. Con la paura mi sono mancate le parole. In quel momento di silenzio solo la scrittura mi ha permesso di comunicare. Stavo combattendo un virus interiore e quello esteriore mi ha salvato".

M.P.
Invia un messaggio alla redazione

Il tuo indirizzo email ed eventuali dati personali non verranno pubblicati.