Ma quando finirà? Quando i bimbi torneranno a giocare e gli adulti a guardare avanti e non al vecchio che ritorna con la solita immagine?
"ma quando finirà?" Sono stanco di portare la mascherina, siamo nella fascia gialla e adesso diventiamo arancione? Non posso giocare con i miei amici, oggi a scuola ne mancano quattro. Ho fatto il vaccino, tra qualche giorno devo andare a fare il secondo. Ma quando finirà?".
Sono parole, frasi espresse con tono pacato e tranquillo prima di impegnarsi a imparare una poesia a memoria: "la scuola diventa sempre più difficile". Ha imparato a leggere ed è affascinato dalle lettere che si compongono. Mentre aspettava il vaccino nella grande sala, seduto su una sedia, giocava con dei cruciverba: "quando finirà?".
In quelle domande soffuse, appena espresse, si cela un grande e infinito sentimento di sconforto, impedimento, stanchezza. Potrei, per il mestiere che svolgo, scrivere un trattato, ma non è questo che mi interessa. Capisco soltanto che c'è un bisogno dei bambini inascoltato, non ci sono attrezzature, spazi sociali nelle città per loro. La città è finalizzata solo alla produzione, agli adulti, agli interessi economici. Mi viene in mente una poesia di Bertol Brecht, A coloro che verranno: "Davvero, vivo in tempi bui!/ la parola innocente è stolta. Una fronte distesa/ vuol dire insensibilità. Chi ride, la notizia atroce non l'ha saputa ancora./ Quali tempi sono questi, quando/ discorrere d'alberi è quasi un delitto, perché su troppe stragi comporta silenzio!..."
Mancano alberi in queste case di cemento armato, mancano i luoghi dell'ascolto, mancano giochi che permettano di inventare. I bambini sono dei reclusi in casa, a scuola con oggetti, protesi tecnologiche che sostituiscono il sogno e la fantasia. E in questo lungo deserto di attesa entrano ed escono da una porta e l'altra guardandosi attorno e vedono soltanto amici assenti. C'è chi è più fortunato e chi lo è meno, questo lo sappiamo, ma la sostanza è la stessa. La questione non si può ridurre soltanto a scuola in presenza o a distanza. La questione è molto più ampia e complessa. Nella loro fantasia, immaginazione è come se vivessero una piccola sconfinata apocalisse.
Caro direttore, vorrei continuare a sviluppare questo pezzo, ma dopo aver sentito che il centrodestra propone Silvio Berlusconi come candidato Presidente della Repubblica, la vista mi si appanna, e mi viene da ripetere come un bambino di sei anni: "ma quando finirà questo guardare al passato, al vecchio che ritorna con la solita immagine?"
Il volto del candidato mi rievoca quello di Mao che ho visto nella triste e stupenda piazza di Tienanmen, il volto di Lenin nel mausoleo in Piazza Rossa: volti mummificati, corpi imbalsamati, Così mi appare il candidato del centrodestra, che, essendo dislalico, disfasico e non solo, ha bisogno di un telefonista per ingaggiare il voto. Sembra di essere a un centro benessere per ricchi. Le parole così tragiche di quel bimbo di sei anni come fanno a rispecchiarsi nel volto di questo ottuagenario egoico e imbalsamato?
Non c'entra destra/sinistra: le concezioni pseudopolitiche e riduzionistiche espresse dai proponenti rappresentano una visione di un mondo accartocciato da pagine patinate, da lustrini e pizzetti frutto di un immaginario hollywoodiano.
C'è un vuoto tremendo e tremante nei rappresentanti della politica.
Carissimo direttore, non so cosa ne pensi, ma tutto questo mi catapulta in un altro Continente e nel secolo scorso: altro che candidatura non divisibile e di alto spessore morale!
Fuori c'è il virus e immagino bambini e bambine chiusi nelle loro case. Pensa, almeno Oliver Twist (Charle Dickens), pur nell'oscura e perversa terra londinese, poteva guardare le stelle e immaginare di vedere la cadente; loro possono guardare ipad, la Tv, smartphone, giocare playstation e sperare che tutto finisca. Ma noi non possiamo credere alle favole.