Merate: bravo Robbiani ma ripulisca la città

Plaudo convintamente all’Oscar al migliore assessore 2021 che la sua redazione, caro direttore, ha assegnato d’ufficio ad Andrea Robbiani, già sindaco ed ora assessore all’Ecologia ed Ambiente. Ad essere un po’ perfidi, si potrebbe anche pensare che – in un simile deserto di rappresentanza – non debba essere stata una scelta particolarmente difficile. Non c’è dubbio, in ogni caso, che Robbiani – a differenza di tanti colleghi e nonostante un’empatia pari a quella di tanti virologi da talk show – abbia una visione del dicastero dove lavora e cerchi di tradurla in atti concreti.
Ma non è questo il tema sul quale vorrei invitare alla riflessione. Una volta raccolti gli indubitabili meriti, l’assessore Robbiani dovrebbe interrogarsi anche sul significato più prosaico delle parole Ecologia ed ambiente che, per fortuna, non si limitano alle pur ammirevoli grandi opere che sono in essere e che l’anno prossimo vedranno sicuramente la luce.
Ambiente significa anche pulizia e mai come in questi mesi Merate appare, ai miei occhi di cittadino qualsiasi, una città sporca, una di quelle che la Lega di qualche lustro fa non avrebbe fatto scrupolo di paragonare a luoghi di ben altre latitudini. Già, perché l’ambiente non è solo un lago da salvare e restituire ai suoi cittadini (e ci mancherebbe altro): sono i marciapiedi zeppi di cartacce, le aiuole della piazza disastrate (e c’è voluto il Natale per metterci due piantine e una recinzione anti cinofili), le bottiglie di birra – ovviamente vuote – che rimangono per giorni nello stesso luogo. Un caso emblematico è quello di San Silvestro: i vetri delle bottiglie infrante, le confezioni usate dei petardi e i sassi della panchina sgretolati dai mascalzoni sono rimasti lì, in orrida vista, fino alla mattina del 3 gennaio. Si dirà – e con molte ragioni – che il cittadino medio ha una coscienza ecologica pari a quella di un ippopotamo in cattività. Ma, proprio per questo, la pulizia è doverosa almeno quanto la “repressione” verso i trasgressori. Qui manca l’una e l’altra. Possibile che un’Amministrazione con cento dipendenti cento, non sia in grado di rimuovere la sporcizia dal luogo più centrale della sua città in meno di tre giorni?
Ambiente vuol dire anche una città accogliente dal punto di vista del decoro. L’area di via don Cazzaniga è il più fulgido degli esempi ed è curioso che la Lega – meritoriamente contraria nei primi anni Novanta a quell’obbrobrio di mattoncini spuntato dal nulla – sia ora costretta, come in un masochistico gioco del contrappasso, a doversene occupare. Ma non se ne occupa, in realtà: ci sono crepe nei muri, il colorito amaranto sta tendendo al bianco muffa, i graffiti si moltiplicano e i rifiuti, nonostante una signora che ogni mattina cerca di svuotare il mare con un cucchiaino, sono ovunque. Testimonianze concrete di come venga utilizato questo spazio, pieno di anfratti dove rifugiarsi indisturbati per pratiche oniriche fin troppo immaginabili. Ambiente significa far vivere un’area, come dimostra l’apertura dell’hub vaccinale. Un bar sempre aperto, gli spettacoli sui gradoni dell’inutilizzato anfiteatro, magari la sede delle associazioni o, in alternativa, il comando dei Vigili urbani (scusate, ma non mi viene di chiamarla Polizia locale). Se un luogo è vissuto, chi ha altre intenzioni cambierà indirizzo.
E anche sull’ecologia, mi si permetta una chiosa. Non basta un’auto elettrica che nessuno utilizza mai – per fare cosa, poi? – per definirsi green. Non basta l’introduzione del sacco rosso, se poi non si è capaci – per fare un altro esempio – di tenere pulito il totem del defibrillatore di piazza Eroi, ricoperto da uno strato di sporcizia alto tre centimetri. Non bastano le roboanti dichiarazioni di intenti se poi la cervellotica viabilità del centro storico è più caotica di quella di Piccadilly Circus (piazza Italia alle 8 del mattino, per capirci). Non bastano le promesse, quando il parco che ci è stato spacciato come regalo di Berlusconi alla cittadinanza (e non già come un investimento per abbellire le sue abitazioni-bunker spuntate nel verde di via Allende) è transennato da sempre e nessun meratese ha finora potuto poggiare i glutei plebei sulle panchine che non ci sono. Non bastano i progettoni per il parco delle Piramidi (chi glielo dice che sin dagli anni Settanta, gli eventi si sono sempre fatti con migliaia di persone e senza il bisogno di spendere nulla se non il noleggio di un palco?) se poi si vuole prendere il pratone di via Allende e consegnarlo a qualche misteriosa associazione per trasformarlo in una semiprivatissima palestra all'aperto. Fa così schifo un’area verde con alberi secolari da volerla a tutti i costi riempirla di attrezzi? O è solo il primo passo per piazzarci un altro paio di invenduti palazzoni?
Ecologia (e mi pianto) vuol dire anche urbanistica intelligente e consumo del suolo. E Merate non ha lezioni da dare: l’asse di via Bergamo è degno della peggiore Cinisello, Brugarolo un singolare mix tra residenze per milanesi abbruttiti dallo smog e aziende piene di storia; via Allende – passo dopo passo – diventerà l’ennesimo quartiere strappato ai boschi; l’ex azienda Diana ospita ormai da anni un cantiere infinito; via Monsignor Bianchi (dal cimitero al lago di San Rocco) è un laboratorio edilizio in piena attività; quello che era il parcheggio del (fu) ospedale di Merate ospita dagli inizi degli anni Novanta un centro commerciale che definire brutto è un eufemismo e che porta la firma, insieme a quella dell’allora sindaco, dell’attuale capogruppo di minoranza. Sicuri che sia questa la “bella Merate” di cui andare orgogliosi?
Per questo motivo, a un assessore come Robbiani che dimostra di voler (e saper) fare, consiglieremmo di continuare a sognare un “attico” moderno ed efficiente. Ma di tenere pulito anche il corsello del box. Non se ne pentirà.
Alessandro M.
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