LIBRI CHE RIMARRANNO/38: ''L’innesto del vaiuolo'' ode di Giuseppe Parini
Sono invece fatti di tutti i numeri dei vaccinati, le tensioni sulle possibili nuove chiusure, e i deliri dei cosiddetti no-vax.
Per stare in tema, allora, oggi mi garba recuperare uno dei miei scrittori del cuore. Un lombardo, un laghèe, una figura di spicco della Milano di fine Settecento inizio Ottocento, e no, non è Manzoni, che pure abbozzò un'opera, "La Vaccina", di cui si conservano alcune ottave presto dismesse per dedicarsi agli "Inni Sacri". È un laghèe di un lago minore, quello di Eupilio, nativo di Bosisio che oggi porta come cognome il suo cognome, Parini.
Era il 1765 quando Giovanni Maria Bicetti de' Buttinoni, medico a Treviglio, cominciò a usare la "variolizzazione" come strategia di immunizzazione del vaiolo. Ne scrisse ai più celebri medici italiani suoi colleghi, e l'opuscolo "Osservazioni sopra alcuni innesti di vaiuolo" fu curato e stampato proprio da Parini, con questa ode, "L'innesto del vaiuolo", in calce.
Non la antologizzo tutta ma ne ricavo alcuni passaggi, attuali come solo le parole dei grandi lo sono. E il nostro quasi conterraneo Parini, abate e illuminista, fu grandissimo.
Inizia con l'apostrofe a Cristoforo Colombo ("O Genovese ove ne vai?) e alla sua audacia guardata con condiscendenza dai saccenti e poi così foriera di doni per l'Europa: Buttinoni sarà per l'Europa un nuovo Colombo, dice Parini, "eppure al turba ignara / or condanna il cimento, / or resite all'evento / di chi ‘l doppio tesor le reca", e ne disprezza i doni.
C'erano allora come oggi i negazionisti:
Oh miseri! che val di medic'arte
Nè studj oprar nè farmachi nè mani?
Tutti i sudor son vani
Quando il morbo nemico è su la porta;
E vigor gli comparte
De la sorpresa salma
La non perfetta calma.
Oh debil' arte, oh mal secura scorta,
Che il male attendi, e no 'l previeni accorta!
Perché "sempre il novo, ch'è grande, appar menzogna" alla superstizione, che è "del ver nemica".
Occorrono dei testimonial autorevoli, che muovano il volgo, constata Parini, e in effetti l'inoculazione preventiva di una dose calmierata di vaiolo per stimolare la produzione spontanea di anticorpi divenne una pratica da vip: negli Stati Uniti ci pensò Benjamin Franklin, tra gli altri; a Napoli la sostenne nientepopodimeno che il re, Ferdinando di Borbone; a Milano, il nonno di Manzoni, Cesare Beccaria, insieme con Pietro Verri, fondatore del "Caffè", fratello maggiore di quel Giovanni che di Manzoni fu il padre naturale; a Recanati Monaldo Leopardi: nella sua biblioteca si trovano ancora le "Ricerche sulle cause e sugli effetti del Vajolo delle Vacche" la traduzione italiana, stampata a Pavia nel 1800, dell'opera del medico inglese Edward Jenner, che nel 1798 scoprì il vaccino vero e proprio. E il conte Monaldo fu per sua stessa fiera dichiarazione il primo nello Stato della Chiesa a praticare l'inoculazione del vaccino ai figli, Giacomo compreso, che all'epoca aveva tre anni. Se abbiamo "il Leopardi" si deve anche al vaccino, oso dire.
Si deve anche a questi autorevoli sponsor se nel 1979 il vaiolo è stato completamente eradicato, e i nati dopo la seconda metà degli anni Settanta, me compreso, non hanno sul braccio quella piccola cicatrice, quella specie di qrcode, che marchia i loro amici più grandi.
Mentre scarico il "green pass rafforzato" penso che questo nostro mondo così moderno abbia ancora bisogno di un nuovo Illuminismo, di intellettuali e scrittori capaci di far sentire la loro voce per gettare luce laddove sopravvivono paure ancestrali e notti superstiziose. Nuovi Parini, che rendano merito a medici pionieri, e nuovi Manzoni, che descrivano la peste e la salvezza dell'anima più di quella dei corpi. Nuovi Leopardi, che possano cantare con strazio l'amore, le illusioni, persino il loro pessimismo, e persino il malessere contro l'arcigna figura paterna, e lo possono fare perché quel padre ha deciso di vaccinare il suo Giacomo.