LIBRI CHE RIMARRANNO/37: ''Caesar'' di Antonella Prenner
Pochi nella storia hanno avuto l'onore di diventare un'antonomasia. "Cesare" sono detti tutti gli imperatori dopo di lui, Caio Giulio Cesare, che divenne un'antonomasia e imperatore non fu.
La storia di quest'uomo ambizioso, di un'intelligenza pungente e feroce, eppure anch'egli solo un uomo, è raccontata da una donna nel romanzo di una donna, Antonella Prenner, "Caesar" (Rizzoli, 2020, pagg. 391, Euro 19,00).
Antonella Prenner insegna letteratura latina all'università Federico II di Napoli, e si sente. La sua cura per le parole era già apprezzabile in "Tenebre", il romanzo su Cicerone (SEM, 2018) e traspare qui in una prosa magistrale, avvolgente e corposa, più incalzante, forse, perché più drammatica e virile è l'esperienza narrata.
Se in "Tenebre" era la figlia Tullia a raccontare del padre, qui è la matrona romana Servilia Cepione, madre di quel Marco Giunio Bruto che Cesare considerò come un figlio e dal quale fu pugnalato, a parlarci di quel Cesare di cui fu amante per tutta la vita. Si conobbero da piccoli, e nella scena del gioco dei dadi con il fratello di lei, quel Catone Uticense scontrosissimo già da ragazzino, emerge il taglio profetico del libro, che sul dado tratto il 49 a.C., varcando il Rubicone, costruisce la sua tensione drammatica.
Pochi luoghi geografici hanno avuto l'onore della Storia, e il fiume Rubicone è tra quelli. A chi lo vada a cercare oggi, infossato tra la campagna romagnola che digrada verso le spiagge della Riviera, dice poco, purtroppo.
È anche per evitare che noi italiani si sprofondi in un vergognoso oblìo delle nostre radici che servono romanzi come questo, scritti bene ma non saccenti, che fanno appassionare alla storia con un taglio che la fascetta di Paolo Mieli definisce "da Ken Follett". Marchetta autopromozionale a parte, sono d'accordo.
Cesare è di suo personaggio da romanzo, Servilia anche: lui aveva avuto tre mogli, lei due mariti e un figlio, Bruto, che voci non così peregrine dicevano essere di Cesare. Di Cesare Servilia, più ancora che Cleopatra, fu la vera regina, del cuore e dei sensi, e ne scontò volubilità e impegni, trascurata a volte, trattata come uno dei suoi legionari, comandata, usata e abbandonata. La troviamo negli inverni delle campagne militare di Cesare in Gallia, ad attenderlo, lei sempre bellissima ma ormai non più giovane, al freddo e alla puzza delle locande adatte più alle truppe che a una matrona romana. Per Cesare trascurò famiglia e dignità personale. A lei scrive Cesare, e lei legge con avidità quelle lettere passando il dito sulla "S" del suo nome, incisa con lo stilo dal suo re.
La mano di Bruto lo colpirà all'inguine, con una nemesi edipica che fa venire i brividi. Come lo fanno le ultime pagine, quando Servilia osserva il rogo funebre del suo Cesare, e una cometa attraversa il cielo. E Calpurnia, la prima moglie di Cesare, va da lei, e non racconto oltre.
"Quando l'ha pugnalato l'ha chiamato figlio", le dice, col rammarico di non essere riuscita lei a dare un figlio maschio a Cesare.
E io, che pure ho studiato Lettere, ho insegnato greco e latino per anni, ho curato un'edizione di Virgilio per la scuola, ho letto quasi tutto quel che c'è da leggere su Cesare, da Plutarco e Svetonio, da Robert Harris a Valerio Massimo Manfredi, mi sono davvero sorpreso nelle pagine di Antonella Prenner, e le consiglio a tutte.
La storia di quest'uomo ambizioso, di un'intelligenza pungente e feroce, eppure anch'egli solo un uomo, è raccontata da una donna nel romanzo di una donna, Antonella Prenner, "Caesar" (Rizzoli, 2020, pagg. 391, Euro 19,00).
Antonella Prenner insegna letteratura latina all'università Federico II di Napoli, e si sente. La sua cura per le parole era già apprezzabile in "Tenebre", il romanzo su Cicerone (SEM, 2018) e traspare qui in una prosa magistrale, avvolgente e corposa, più incalzante, forse, perché più drammatica e virile è l'esperienza narrata.
Se in "Tenebre" era la figlia Tullia a raccontare del padre, qui è la matrona romana Servilia Cepione, madre di quel Marco Giunio Bruto che Cesare considerò come un figlio e dal quale fu pugnalato, a parlarci di quel Cesare di cui fu amante per tutta la vita. Si conobbero da piccoli, e nella scena del gioco dei dadi con il fratello di lei, quel Catone Uticense scontrosissimo già da ragazzino, emerge il taglio profetico del libro, che sul dado tratto il 49 a.C., varcando il Rubicone, costruisce la sua tensione drammatica.
Pochi luoghi geografici hanno avuto l'onore della Storia, e il fiume Rubicone è tra quelli. A chi lo vada a cercare oggi, infossato tra la campagna romagnola che digrada verso le spiagge della Riviera, dice poco, purtroppo.
È anche per evitare che noi italiani si sprofondi in un vergognoso oblìo delle nostre radici che servono romanzi come questo, scritti bene ma non saccenti, che fanno appassionare alla storia con un taglio che la fascetta di Paolo Mieli definisce "da Ken Follett". Marchetta autopromozionale a parte, sono d'accordo.
Cesare è di suo personaggio da romanzo, Servilia anche: lui aveva avuto tre mogli, lei due mariti e un figlio, Bruto, che voci non così peregrine dicevano essere di Cesare. Di Cesare Servilia, più ancora che Cleopatra, fu la vera regina, del cuore e dei sensi, e ne scontò volubilità e impegni, trascurata a volte, trattata come uno dei suoi legionari, comandata, usata e abbandonata. La troviamo negli inverni delle campagne militare di Cesare in Gallia, ad attenderlo, lei sempre bellissima ma ormai non più giovane, al freddo e alla puzza delle locande adatte più alle truppe che a una matrona romana. Per Cesare trascurò famiglia e dignità personale. A lei scrive Cesare, e lei legge con avidità quelle lettere passando il dito sulla "S" del suo nome, incisa con lo stilo dal suo re.
La mano di Bruto lo colpirà all'inguine, con una nemesi edipica che fa venire i brividi. Come lo fanno le ultime pagine, quando Servilia osserva il rogo funebre del suo Cesare, e una cometa attraversa il cielo. E Calpurnia, la prima moglie di Cesare, va da lei, e non racconto oltre.
"Quando l'ha pugnalato l'ha chiamato figlio", le dice, col rammarico di non essere riuscita lei a dare un figlio maschio a Cesare.
E io, che pure ho studiato Lettere, ho insegnato greco e latino per anni, ho curato un'edizione di Virgilio per la scuola, ho letto quasi tutto quel che c'è da leggere su Cesare, da Plutarco e Svetonio, da Robert Harris a Valerio Massimo Manfredi, mi sono davvero sorpreso nelle pagine di Antonella Prenner, e le consiglio a tutte.
Rubrica a cura di Stefano Motta