Merate: riflessioni sul post COP26 nella testimonianza di chi l'ha vissuta. La partita spetta ai giovani
Fratel Alberto ha portato l'esperienza di osservatore interno, in qualità di rappresentante della ONG (Organizzazione Non Governativa) Vivat International, accreditata alle Nazioni Unite a New York e Ginevra che a Glasgow ha assunto il ruolo di advocacy per portare la voce delle Comunità in difesa di temi quali violazione dei Diritti Umani e Ambiente.
Fratel Alberto Parise
"Non possiamo più nasconderci dietro a un dito, non c'è più spazio per i negazionisti - ha affermato il religioso - abbiamo dati sufficienti per asserire dal punto di vista scientifico che i cambiamenti climatici sono dovuti alle attività umane". Partendo da questo assunto il missionario comboniano è entrato nel merito di alcuni nodi che si sono affrontati nel corso del Summit. Ad esempio, il finanziamento annuo che i Paesi ricchi dovrebbero garantire a quelli poveri per sostenere la transizione ecologica era stato fissato a 100 miliardi di dollari nel 2009 (durante la Cop15 di Copenaghen). Obiettivo disatteso perché quella cifra non si è ancora riuscita a raccoglierla, e il traguardo è stato posticipato al 2023. Detta così può sembrare una somma esorbitante, se non fosse che Fratel Alberto ha fatto notare che quei soldi corrispondono a 1/7 del budget militare statunitense e per aiutare sul serio i Paesi poveri ci vorrebbero cifre 10/15 volte più grandi di quella appena menzionata.
Luciano Castrignano
Al summit si è parlato molto anche di giustizia climatica, responsabilità, e priorità. A proposito di quest'ultima quanto è emerso è che il Nord ha priorità diverse rispetto al Sud nella lotta al cambiamento climatico. Se prendiamo come esempio le foreste, i paesi del Nord hanno interesse a preservarle in quanto assorbono emissioni. Ma dove sono le foreste? La maggior parte al Sud. Un altro esempio potrebbero essere le auto elettriche, sulle quali spingono molto i paesi del Nord, ma dove vengono raccolti i minerali per produrre le batterie? Sempre al Sud. E soprattutto a quale prezzo?
Il Sud chiede invece azioni concrete, e non soltanto parole. Se il cambiamento climatico prosegue a questi ritmi l'Africa subsahariana è destinata a perdere il 15% del PIL a causa delle catastrofi climatiche da qui al 2030. Questo è strettamente collegato ad un'altra priorità che i paesi poveri reclamano a gran voce, la compensazione delle cosiddette loss and damage (perdite e danni): alcuni Paesi del Sud si sono indebitati per costruire infrastrutture e a causa dei fenomeni estremi (sempre più frequenti) hanno perso tutto. Non tutti i Paesi hanno contribuito all'inquinamento allo stesso modo, e in questo entra in gioco il concetto di giustizia climatica. Anche qui Fratel Parise ha riportato alcuni dati. Si sono criticate molto l'India e la Cina per essere state responsabili del "rallentamento" sull'impegno all'uscita dal carbone e lo stop ai sussidi alle fonti fossili. È vero che l'India è il 3° emettitore mondiale ma sulle quote pro-capite è in basso alla classifica. I livelli di emissioni che abbiamo oggi non si sono depositati nell'atmosfera da soli, ha riportato ancora il missionario, del 35% sono responsabili i Paesi del Nord. E infine entra in gioco l'ultimo aspetto, ma non meno rilevante, le capacità: ci sono paesi che hanno più capacità di altri di ridurre le emissioni.
La delegazione lecchese di Legambiente
"La realtà è che i governi del Nord e del Sud stanno dalla stessa parte. Per raggiungere la soglia di 0 emissioni entro il 2050 è necessario ridurle del 45% entro il 2030. Ma questo non può avvenire da subito, altrimenti si rischia la contrazione delle economie e questo nessuno lo vuole". Il punto è che il sistema in cui viviamo predilige un modello di economia di tipo estrattivo, dove la crescita sia continua e inarrestabile a scapito dell'ambiente. È qui allora dove si fomenta la grande rabbia e indignazione della popolazione civile.
Stefano Casati il moderatore
Attivista dai tempi del liceo e da 6 anni a Legambiente, ha trovato la risposta nel volontariato e nell'associazionismo ed è stato proprio con lui, Luciano Castrignano, che si è discusso della mobilitazione delle masse (colorata e pacifica) che si è tenuta a Glasgow nelle strade e nelle piazze e che ha visto anche momenti di confronto con attivisti di tutta Europa e di tutto il mondo, tutti lì per sostenere la propria causa.
"Se si guarda ai risultati politici la Cop26 pare una sconfitta - ha affermato l'attivista - il meccanismo è facciamo di più ma facciamolo un po' più in là". Ma un aspetto positivo il summit sul clima lo ha dimostrato. "La società civile, i gruppi organizzati, ci sono e si riescono a mobilitare - ha proseguito Castrignano - l'attenzione della cittadinanza e dell'opinione pubblica è sempre più forte. Il "Glasgow agreement" è il patto che tutte le associazioni hanno stilato quando la politica ha abdicato. Hanno redatto le linee programmatiche e si impegneranno a fare sul territorio quello che i Governi non hanno il coraggio di attuare".
In questa partita un ruolo importante lo stanno avendo i giovani e proprio in merito a questo entrambi gli ospiti della serata hanno voluto lanciare un messaggio di incoraggiamento alle nuove generazioni. "Fate volontariato, fate associazionismo! Toccate con mano la realtà delle cose e non state troppo a rimuginare anche se non conoscete i temi alla perfezione. È importante iniziare a fare qualcosa anche nel proprio piccolo" ha affermato l'attivista di Legambiente.
"Il fatto è che abbiamo una storia di impegni disattesi - ha detto invece il missionario comboniano - È importante che quel poco che è stato raggiunto alla Conferenza sul clima venga portato a termine e se non c'è la spinta dal basso questo non accadrà. I Governi non possono ignorare i cittadini che li votano". Dunque chi può tenere in piedi la lotta sono proprio i giovani, "Il futuro gli è già stato tolto - ha dichiarato ancora Fratel Parise - non hanno privilegi da proteggere. Solo attuare scelte di vita differenti, facendole sperimenteranno che è bello e che sono efficaci".