LIBRI CHE RIMARRANNO/35: ''Una vita all’estremo'' di Gianfranco Calligarich
Pensi a un fiume, a un uomo, e all'Africa e non può non venirti in mente "Cuore di tenebra" di Conrad.
Pensi alle esplorazioni europee nell'interno del continente africano e rivedi Livingstone alla ricerca delle sorgenti del Nilo, e Stanley, mandato alla sua ricerca.
Pensi all'impero coloniale italiano (impero?) in Africa e ti viene in mente "Faccetta nera" e l'Abissinia.
E invece il fiume non si chiama Congo, come quello del tenente Kurtz, ma Giuba. E i nomi dell'avventura italiana sono quelli di sconfitta, Dogali, e Adua, e di una spina nel fianco delle velleità italiane, il negus Menelik.
E l'esploratore ha un nome promettente, "Vittorio", e un cognome che va pronunciato con l'accento giusto, sulla prima o, altrimenti sembra squalificarlo a un ruolo di commesso di bottega, come gli rinfacciano i suoi invidiosi commilitoni.
Racconta la sua storia l'ultimo romanzo di Gianfranco Calligarich, "Una vita all'estremo" (Bompiani, pp. 183, Euro 17,00), e davvero i titoli sono simboli: cos'è quell'estremo di cui si parla? Sono le lande interne sconosciute dell'Africa dove i romani segnavano solamente "hic sunt leones", quelli "spazi bianchi" di cui parla il marinaio Marlow di Conrad: "Quand'ero un ragazzino, avevo la passione per le carte geografiche. Passavo ore a guardare l'America del Sud, o l'Africa, o l'Australia... A quei tempi c'erano molti spazi vuoti sulla carta della Terra, e quando ne vedevo uno dall'aria particolarmente invitante (ma ce l'hanno tutti, quell'aria) ci posavo il dito sopra e dicevo: Quando sarò grande, ci andrò!".
In tanti hanno già scritto delle imprese di Bottego, lui compreso (lo ricorda anche Montanelli nella sua "Storia d'Italia"), e Calligarich aggiunge la sua penna di scrittore per darci - le parole sono sue - "non una biografia ma un romanzo".
Nella puntualità dei riferimenti topografici e quasi diaristici emerge la figura di Bottego, insaziabile esploratore del mondo e di sé stesso, contagiatore di sogni, venditore di avventure, capace di esercitare un carisma pericoloso e vittima, alla fine, del suo stesso carisma: "ci sono uomini che vivono scortati da una contaminante ombra. In loro infatti un'ombra si proietta non sui muri o sui selciati ma sul loro prossimo, facendogli sentire la sua vita insoddisfacente".
Finché l'Africa glielo concesse, la sua povera ombra umana si stagliò sulle sabbie cocenti del deserto e lungo i fiumi, il Giuba e l'Omo, così a lungo esplorati. Poi l'Africa chiese il dazio, e l'ombra calò su Bottego, prima che altre ombre, più fitte di quelle della sorte di un singolo uomo, calassero sull'Europa e sul mondo intero, "in questo Novecento che, con le sue novità, i suoi Mussolini e i suoi Hitler al potere, le sue donne che si tagliano i capelli e vestono provocanti, le sue automobili che stanno sostituendo le carrozze, sta cancellando ogni passato. [...] La notte sta calando":
La storia delle imprese geografiche di Bottego è davvero una storia d'altri tempi, eroica nelle sue velleità esplorative e cinica nel suo pragmatismo colonialista.
Si legge come tutti quei libri "contagianti", che poi portano ad aprirne altri, a squadernare davanti l'atlante, a seguire con il dito i fiumi e le rotte, a cercare nuove informazioni, perché leggere è un po' esplorare, il mondo e noi stessi.
Si legge con una certa iniziale fatica: Calligarich scrive con uno stile unico che va assorbito e imparato. Periodi ellittici del verbo, iterate epanadiplosi, che al principio sembrano inciampi e poi divengono lo specchio stilistico di una narrazione balbettata e quasi giustapposta, come è la memoria dell'anziano narratore che redige queste pagine da testimone esterno, molti anni dopo le imprese di Bottego.
E sono lo specchio anche di quel vagare esplorando, un passo alla volta, sempre affamati e sempre un po' alla cieca, che è la vocazione degli esploratori e il destino di tutti noi.
Pensi alle esplorazioni europee nell'interno del continente africano e rivedi Livingstone alla ricerca delle sorgenti del Nilo, e Stanley, mandato alla sua ricerca.
Pensi all'impero coloniale italiano (impero?) in Africa e ti viene in mente "Faccetta nera" e l'Abissinia.
E invece il fiume non si chiama Congo, come quello del tenente Kurtz, ma Giuba. E i nomi dell'avventura italiana sono quelli di sconfitta, Dogali, e Adua, e di una spina nel fianco delle velleità italiane, il negus Menelik.
E l'esploratore ha un nome promettente, "Vittorio", e un cognome che va pronunciato con l'accento giusto, sulla prima o, altrimenti sembra squalificarlo a un ruolo di commesso di bottega, come gli rinfacciano i suoi invidiosi commilitoni.
Racconta la sua storia l'ultimo romanzo di Gianfranco Calligarich, "Una vita all'estremo" (Bompiani, pp. 183, Euro 17,00), e davvero i titoli sono simboli: cos'è quell'estremo di cui si parla? Sono le lande interne sconosciute dell'Africa dove i romani segnavano solamente "hic sunt leones", quelli "spazi bianchi" di cui parla il marinaio Marlow di Conrad: "Quand'ero un ragazzino, avevo la passione per le carte geografiche. Passavo ore a guardare l'America del Sud, o l'Africa, o l'Australia... A quei tempi c'erano molti spazi vuoti sulla carta della Terra, e quando ne vedevo uno dall'aria particolarmente invitante (ma ce l'hanno tutti, quell'aria) ci posavo il dito sopra e dicevo: Quando sarò grande, ci andrò!".
In tanti hanno già scritto delle imprese di Bottego, lui compreso (lo ricorda anche Montanelli nella sua "Storia d'Italia"), e Calligarich aggiunge la sua penna di scrittore per darci - le parole sono sue - "non una biografia ma un romanzo".
Nella puntualità dei riferimenti topografici e quasi diaristici emerge la figura di Bottego, insaziabile esploratore del mondo e di sé stesso, contagiatore di sogni, venditore di avventure, capace di esercitare un carisma pericoloso e vittima, alla fine, del suo stesso carisma: "ci sono uomini che vivono scortati da una contaminante ombra. In loro infatti un'ombra si proietta non sui muri o sui selciati ma sul loro prossimo, facendogli sentire la sua vita insoddisfacente".
Finché l'Africa glielo concesse, la sua povera ombra umana si stagliò sulle sabbie cocenti del deserto e lungo i fiumi, il Giuba e l'Omo, così a lungo esplorati. Poi l'Africa chiese il dazio, e l'ombra calò su Bottego, prima che altre ombre, più fitte di quelle della sorte di un singolo uomo, calassero sull'Europa e sul mondo intero, "in questo Novecento che, con le sue novità, i suoi Mussolini e i suoi Hitler al potere, le sue donne che si tagliano i capelli e vestono provocanti, le sue automobili che stanno sostituendo le carrozze, sta cancellando ogni passato. [...] La notte sta calando":
La storia delle imprese geografiche di Bottego è davvero una storia d'altri tempi, eroica nelle sue velleità esplorative e cinica nel suo pragmatismo colonialista.
Si legge come tutti quei libri "contagianti", che poi portano ad aprirne altri, a squadernare davanti l'atlante, a seguire con il dito i fiumi e le rotte, a cercare nuove informazioni, perché leggere è un po' esplorare, il mondo e noi stessi.
Si legge con una certa iniziale fatica: Calligarich scrive con uno stile unico che va assorbito e imparato. Periodi ellittici del verbo, iterate epanadiplosi, che al principio sembrano inciampi e poi divengono lo specchio stilistico di una narrazione balbettata e quasi giustapposta, come è la memoria dell'anziano narratore che redige queste pagine da testimone esterno, molti anni dopo le imprese di Bottego.
E sono lo specchio anche di quel vagare esplorando, un passo alla volta, sempre affamati e sempre un po' alla cieca, che è la vocazione degli esploratori e il destino di tutti noi.
Rubrica a cura di Stefano Motta