Merate: la 'strage di Piazza Fontana' del 1969 raccontata da due testimoni, il figlio di una vittima e uno dei sopravvissuti

“Fate vostri questi nostri ricordi: essi sono soggettivi, perchè racconti di quello che abbiamo vissuto noi ma solo se li fate vostri potranno diventare una memoria, una memoria collettiva”. È con queste parole che Fortunato Zinni, sopravvissuto alla strage di Piazza Fontana a Milano, avvenuta il 12 dicembre di quasi 52 anni fa, si è rivolto sabato mattina agli studenti, radunati nell’aula magna Paolo Borselino, di cinque classi quinte e tre quarte - di cui una collegata dalla propria aula- dell’Istituto Viganò di Merate.
L’incontro, moderato ed organizzato dal professore Alberto Magni, ha visto come protagonisti il già menzionato impiegato dell’allora Banca Nazionale dell’Agricoltura e Paolo Silva, vicepresidente dell’Associazione Famigliari delle Vittime e figlio di Carlo, deceduto nell'attentato.

Fortunato Zinni, Paolo Silva e il prof. Alberto Magni

Prima di dare la parola ai due relatori, agli studenti è stato mostrato un filmato che ha inquadrato il contesto degli anni di piombo, delle manifestazioni e proteste studentesche per cambiare gli ideali della società dell’epoca in cui non si riconoscevano più. I ragazzi hanno visto nei filmati anche i volti di alcune delle 300mila persone che hanno affollato piazza Duomo a Milano il 15 dicembre 1969, giorno dei funerali delle vittime: hanno notato il loro silenzio, la commozione e la sete di giustizia e verità nei loro occhi. Hanno sentito anche il racconto delle indagini, della pista anarchica e della morte di Giuseppe Pinelli, precipitato in circostanze mai chiarite dalla finestra del quarto piano della Questura milanese dopo tre giorni di interrogatorio, del processo durato decine di anni e che non ha saputo arrivare alla condanna di un colpevole, dopo che la Corte di Cassazione nel 2005, assolvendo in via definitiva Zorzi, Maggi e Rognoni, ha indicato quale mente e “organizzatore” la cellula eversiva di Ordine Nuovo capitanata da Franco Freda e Giovanni Ventura, non più processabili in quanto già assolti in modo definitivo nel 1987.

Paolo Silva

La parola è passata a Paolo Silva che ha cominciato il suo racconto ricordando la figura di suo padre: “mio papà Carlo era un ragazzo del 1898, faceva parte di quella generazione di giovani che furono mandati al fronte durante la prima guerra mondiale. Fu fatto prigioniero dopo la disfatta di Caporetto, riuscì a salvarsi e fu mandato in un campo di concentramento in Germania. Tornato in patria era magrissimo, tant’è che i parenti non lo riconoscevano. Per anni ha avuto incubi notturni, urlava nel sonno per tutte le nefandezze che aveva visto nel corso del primo conflitto mondiale”. Carlo Silva quindi si era messo a lavorare come agente di commercio di una grossa società petrolifera americana di lubrificanti per il settore agricoltura e frequentava spesso la Banca Nazionale dell’Agricoltura. Quel 12 dicembre 1969, alle 16.37, Carlo si era appena seduto al banco ottagonale sede delle contrattazioni e la bomba era esplosa proprio sotto di lui: “io all’epoca avevo 27 anni ed ero capoarea di un’azienda Svizzera e per lavoro giravo tutto lo Stivale e parte dell’estero. Non vedevo mio papà dal lunedì precedente, quando l’avevo accompagnato alla stazione di Lambrate: non l’ho più visto vivo. Alle 18 di quel 12 dicembre mi trovavo in Galleria Vittorio Emanuele e avevo visto che c’erano delle situazioni strane: ambulanze, rumori e sirene. Però erano anni caratterizzati da scioperi e contestazioni, non avrei mai pensato che potesse esplodere una bomba in centro a Milano”.

Mentre rientrava a casa, Paolo Silva si era fermato da un benzinaio il quale gli aveva riferito della bomba esplosa nella sede della banca in piazza Fontana: “il mio pensiero è stato subito “papà” ha raccontato, “tornato a casa ho trovato mia madre in lacrime perchè aveva sentito la notizia alla televisione e sono andato in piazza Fontana, una visione terribile”. Dato che suo padre non risultava né tra i feriti né tra i deceduti, Paolo ha pensato che il genitore stesse vagando in stato di shock per le vie della città; recatosi poi in Questura, dove aveva incontrato il fratello, era stato invitato a raggiungere l'obitorio perchè c’era un cadavere da identificare. “Ho visto una cosa che non dimenticherò mai per tutta la mia vita” ha proseguito Silva, “quando ho aperto quello stanzone ho visto tredici delle sedici vittime in condizioni disperate. Corpi bruciati, carni maciullate, e quando ho alzato il lenzuolo di papà…era lui. Ed era in condizioni molto ridotte perchè purtroppo si era seduto proprio ai piedi della bomba”. Del giorno dei funerali, Silva si ricorda di essersi alzato alle cinque del mattino per recarsi in obitorio a salutare suo padre per un’ultima volta e poi di essersi andato in piazza Duomo. Quel giorno, sotto un cielo plumbeo dato dalla tipica nebbiolina milanese, trecentomila persone di ogni ramo della società, senza bandiere o gagliardetti, si erano radunate nella piazza centrale di Milano: “sentivo il rumore del silenzio” ha detto Silva, “nonostante la presenza di tutte quelle persone, che erano in religioso silenzio, riuscivo a sentire il rumore dei tacchi delle mie scarpe sul pavimento del sagrato del Duomo. All’epoca non c’era la brutta abitudine di applaudire quando passava un morto”. Silva ha ricordato anche che le Autorità erano arrivate in chiesa con un’ora di ritardo e che l’allora presidente del consiglio Mariano Rumor disse ai familiari delle vittime: “vi garantisco che i responsabili saranno assicurati il più presto alla giustizia”. Un impegno che non è stato mantenuto, nemmeno oggi a quasi 53 anni di distanza. “Lo stesso Rumor e lo stesso Andreotti, quando furono interrogati anni dopo a Catanzaro, pallidicci e sudaticci dissero “non ricordo, non ricordo” ha così concluso Paolo Silva il suo intervento, “le anime dei nostri cari non hanno ancora avuto la pace che meritano”.

Fortunato Zinni

A questo punto la parola è passata a Fortunato Zinni, oggi 82enne, che il 12 dicembre del 1969 era all’interno della Banca in quanto impiegato della stessa: a salvarlo fu un comunicato sindacale a cui doveva apporre la firma, che lo aveva obbligato a recarsi al piano ammezzato del palazzo. Prima di raccontare gli avvenimenti di questa oscura pagina di storia del nostro Paese, Zinni ha declamato l’incisione posta sulla lapide che ricorda le vittime dell’attentato: “ricordo a memoria tutte le persone che persero la vita quel giorno perchè erano miei amici, erano persone con cui lavoravo ogni giorno. Quel venerdì l’atrio era parecchio affollato da agricoltori provenienti da Milano e da tutta la provincia”. Una giornata che non era iniziata bene, ricorda Zinni, perchè la città, nonostante fosse sotto Natale, non aveva luminarie per mancanza di fondi e perchè anche quel giorno c’era una folta nebbia che copriva la Madonnina, di solito visibile dall’ingresso della Banca. “Intorno alle 16.30 ero vicino al tavolo ottagonale, con due anziani agricoltori che conoscevo: Paolo Gerli e Gerolamo Papetti” ha ricordato il sopravvissuto, “avrei dovuto sancire la contrattazione con il taglio della stretta di mano, perchè così funzionava all’epoca, e poi registrare il tutto su un modulo”. Continuando il racconto, senza nascondere la commozione -visibile anche negli occhi di Paolo Silva- Zinni viene chiamato da alcuni colleghi al piano ammezzato del palazzo della Banca per apporre una firma ad un comunicato sindacale: “ho detto loro di aspettarmi due minuti, mentre salivo anzi ho provato a dirgli di andare pure fuori al cancello perchè saremmo andati a bere il caffè ma c’era troppa gente e non hanno potuto sentirmi. Arrivato al piano ammezzato ho chiuso lo sportello della vetrata a cui mi sono appoggiato. Poi ho sentito un grande boato e sono finito lungo disteso”. Non ha riportato ferite visibili Fortunato, anche se per via dell’esplosione è rimasto completamente sordo da un orecchio; in stato di shock si è alzato cercando di uscire dall’edificio. Passando vicino al bancone della portineria, aveva risposto ad un telefono: “era la Questura, volevano avere la conferma che fosse esplosa una caldaia: dissi loro di no, perchè la caldaia sapevo si trovasse da tutt’altra parte e quando mi chiesero cosa vedessi, dissi loro che vedevo un braccio umano senza un corpo”. Ma Fortunato, prima di uscire, voleva consegnare a tutti i costi la ricevuta a Paolo e Gerolamo: “muovendomi alla loro ricerca, mi sono sentito tirare da una gamba: era un cliente che conoscevo che, mutilato ad una gamba e in una pozza di sangue, mi implorava aiuto. Poi ho trovato Paolo e Gerolamo. Il primo, secondo gli atti giudiziari, era morto per detroncazione degli arti inferiori mentre Gerolamo è spirato tra le mie braccia”.

Fortunato ricorda ancora come se fosse una fotografia impressa nella sua mente quella straziante scena: il pavimento pieno di carte, di suppellettili, un sacerdote che stava impartendo la benedizione a degli informi fagotti, un collega che usando dei fogli copriva quei fagotti, un cassiere con la pistola in mano che diceva “non toccate niente che devo quadrare”, il buco lasciato dall’esplosione con una sedia incredibilmente ancora intatta vicino, il grande bancone ottagonale svanito. Fortunato era stato poi raggiunto dal direttore, che lo stava cercando perchè sapeva che era l’unico impiegato che stava al di qua del bancone: “quando mi ha visto mi ha abbracciato” ha raccontato commosso, “pensava che fossi tra quei fagotti. Gli chiesi se non sentisse anche lui un odore di mandorle amare, affermando che fosse scoppiata una bomba”. Zinni infatti ha spiegato agli studenti che quando era piccolo, all’età di cinque anni, sulle rive del Sangro in Abruzzo durante la seconda guerra mondiale dopo l’esplosione di una granata sentiva quell’odore lì, misto di carne umana bruciata e di polvere esplosiva: “ma io quel giorno non ero al fronte o in una guerra: ero dietro il Duomo, in una banca”. Zinni era stato così incaricato dal direttore a scrivere un foglio con i nomi delle vittime: “ne ho saputi riconoscere solo 9, gli altri erano talmente sfregiati che ho dovuto sbirciare sui documenti che avevano in tasca”.
Successivamente sono state ripercorse tutte le pagine dei vari processi ed è stato spiegato ai ragazzi che quelle stragi erano state pianificate da associazioni colluse con i servizi segreti e uomini potenti che miravano all’eversione dell’ordine democratico, organizzazioni che hanno poi causato la strage di Piazza Loggia a Brescia e l’attentato alla Stazione di Bologna.
“Vedete” ha concluso Fortunato Zinni, rivolgendosi ai ragazzi “il narratore della memoria è una strana figura. E questo è uno strano Paese che affida ad un narratore della memoria la perseveranza della coscienza civile della memoria stessa. Quando mi si chiede perchè un signore a 82 anni un sabato mattina anziché stare con i nipotini va a parlare in una scuola io rispondo che quando parlo di queste cose guardo negli occhi chi mi sta di fronte: qui ci sono occhi innocenti che devono sapere e devono riflettere su questa oscura pagina perchè quelle vittime non hanno ancora avuto giustizia”.

Il prof. Alberto Magni
Un incontro toccante, che ha raccontato con le parole di chi, purtroppo, c'era ai ragazzi una triste pagina di storia italiana su cui sono stati invitati ad informarsi e a chiedersi del perchè lo Stato abbia abbandonato queste famiglie.
B.F.
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