LIBRI CHE RIMARRANNO/30: Giulio Leoni e ''L'ultimo segreto di Dante''

Bignami per confezionare un feuilleton storico-avventuroso:

- alternare due storie, una ambientata cronologicamente vicina al lettore, una nel passato un po' più remoto;
- far balenare la possibile soluzione di un qualche recondito mistero (se esoterico, meglio);
- mettere qualche tensione suprematista (se con la svastica fa Indiana Jones);
- non chiudere del tutto la vicenda (non perché si sia rispettosi della semiotica del romanzo come "opera aperta" ma perché si potrà sempre attaccare un sequel, e un domani non si sa mai).

Confesso che avevo bisogno di svago e che ormai questo 2021 è votato alle letture dantesche. Poiché di Dante mi occupo per il mio mestiere di insegnante e di scrittore, ero da tempo curioso di leggere almeno uno dei molti titoli che Giulio Leoni ha dedicato non al Dante "auctor" ma al Dante "agens", facendolo protagonista di una serie di avventure tra il giallo e il picaresco.

L'ultima (Editrice Nord, pagg. 390, Euro 18,00) si intitola appunto "L'ultimo segreto di Dante", e ha la materia prima per essere affascinante: come ognun sa, mentre di Petrarca, di Boccaccio e di molti altri contemporanei anche meno famosi abbiamo numerose testimonianze autografe, non esiste un rigo di pergamena che sia riconducibile a Dante. Ne ho già parlato in un altro mio articolo CLICCA QUI: la ricerca di un manoscritto autografo di Dante è il sacro Graal di tutti i filologi.
Quale spunto migliore per un romanzo se non la voce che si possa recuperare una lettera dello stesso Dante sepolta insieme con un cavaliere svevo in una chiesa di Lucera, in Puglia?

La sta ristrutturando una vecchia conoscenza di Leoni, quell'architetto Cesare Marni che si era già distinto a Fiume col Vate e in altri romanzi di Leoni. Arrivano però sul luogo un ricercatore tedesco e la sua bella assistente, androgina nelle curve e nel nome, Andrea von Schill. Siamo nel 1936, e anche i nazisti sono serviti. Se poi Himmler si incapriccia che l'Alighieri discenda attraverso il suo avo Cacciaguida dalla casata sveva degli Haldagher, farlo diventare il cantore ante litteram dell'arianesimo è un attimo.

Troppa carne al fuoco? Aggiungiamoci anche un pretendente al soglio imperiale, che si spaccia per Federico III di Svevia, e una ex conversa di nome Isolde che accompagna Dante verso sud, e una ballerina modernista che smania per Marni, e un U-Boot inviato da Himmler in Puglia per liquidare la femme fatale Andrea Schill che si scopre in realtà essere dell'MI-6, una specie di James Blonde, e il polpettone è servito.

A spezzare il ritmo di questa storia moderna, improbabile ma dalla scrittura efficace, ci sono i capitoli ambientati nel 1313, che vedono Dante come protagonista. E che ho spesso saltato a piè pari. Alla quarta volta in cui per tirare in lungo le pagine Dante aveva una visione in cui gli appariva una figura improbabile che forse era la Morte, forse Lucifero, forse Guido Cavalcanti, non ho più gradito lo stratagemma.

Non ho mai ritenuto che i Grandi fossero dei monumenti da ingessare sopra un piedistallo: più mi sono occupato per studio e per lavoro dei grandi scrittori più ho imparato a scoprirli uomini, con le loro debolezze e le loro passioni, e questo me li ha resi più simpatici, meno inarrivabili, fragili come me e perciò stesso più credibili. Che poi io riesca a emularli nella loro immensità di scrittori è un altro paio di maniche. Mi contento di riconoscermi nelle loro fragilità di uomini.

Ma c'è un limite.

Trattare Dante come una specie di Rambo, che a un certo punto incendia una torre d'assedio angioina come fosse la Bradamante del Tasso è una cosa assurda. Impasticcarlo di droghe orientali in ossequio alla sua iscrizione all'arte degli Speziali è infantile. E farlo parlare per autocitazioni nascoste è una trovata da quattro soldi, davvero.
Poi, se uno vuole passare due serate a staccare un po' i pensieri e infarinarsi di medioevo, il romanzo di Leoni vi terrà la stessa compagnia sonnecchiante che ha tenuto a me, e male non fa.

Perché chiunque parli di Dante gode del privilegio di brillare di luce riflessa. Tanta è la grandezza di Dante che ci vuole dell'impegno feroce per offuscarla completamente. Leoni, grazie al cielo, non ce la fa del tutto.
Rubrica a cura di Stefano Motta
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