LIBRI CHE RIMARRANNO/29: ''L’ultima magia. Dante 1321'' di Marco Santagata


Torno a occuparmi della mia rubrica di recensioni letterarie dopo un periodo di autoesilio, diciamo così, per fare il percorso dantesco un po' al contrario, lui che di politico divenne scrittore, per quanto già da giovane rispondesse per le rime a Guido Cavalcanti & Co. o si dilettasse in componimenti licenziosetti come tutti i giovani forse fanno.
Io da scrittore mi son fatto politico, nella mia città, per lo stesso amore che Dante aveva per la sua Firenze. Ma i libri sono l'ancora di salvezza di un uomo, sia che li scriva sia, soprattutto, che ne legga. E perciò non potevo riprendere in mano la penna per i miei lettori di Merateonline se non riprendo Dante.
Lo faccio con l'ultimo romanzo di uno dei più alti studiosi di Dante, Marco Santagata, morto lo scorso anno, che già aveva dedicato a Dante lo splendido "Come donna innamorata", sulla genesi della "Vita Nova".
Là era un Dante giovane, fiorentino. Lo ritroviamo ora in questo "L'ultima magia. Dante 1321" (Guanda 2021, pp. 221, Euro 18) a Ravenna, alla fine dei suoi giorni, ancora in fuga. Non più dall'accusa infamante di baratteria, con la quale era stato esiliato dalla sua Firenze, ma dal sinistro alone di negromante che lo avvolge per aver cantato la propria discesa all'inferno.
E lo troviamo cantore di sé stesso, lettore, per donna Alagia, delle pagine del canto V, quello di Paolo e Francesca, e la letteratura si invera in loro due come aveva già fatto nei due amanti ravennati mentre leggevano di Lancillotto e Ginevra.
I libri hanno questo oscuro potere fascinatorio che nessun altro stratagemma di corteggiamento ha.
Dante la citerà al canto diciannovesimo del Purgatorio, e forse a questo spunto in filigrana si è appreso Santagata, come s'apprende "amor al cor gentile".
In mezzo c'è la storia avventurosissima di una statuetta misteriosa che raffigura il Papa e una scomunica che pende come una spada di Damocle sopra il figlio Pietro. Ma il romanzo è un romanzo d'amore. Non per Beatrice, che di Dante fu la musa, non per Gemma Donati, che di Dante fu la moglie. Per Alagia Fieschi, che di Dante fu il rimpianto.
Stefano Motta
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