Osnago: Giuseppe Li, assistente volontario di atleti a olimpiadi e paralimpiadi di Tokyo
Da una settimana a Tokyo si sono concluse le Paralimpiadi, un mese dopo le Olimpiadi, e l'Italia chiude con un bilancio più che positivo. Ma a tornare vincenti non sono solo gli atleti azzurri e i loro allenatori, ci sono anche tutte le persone che hanno lavorato dietro le quinte di questi grandi eventi sportivi affinché tutto andasse per il meglio. A essersi reso disponibile come volontario è stato anche Giuseppe Li. Nato a Merate da genitori cinesi, Giuseppe ha 26 anni, è cresciuto a Osnago, ha frequentato le elementari e le medie a Merate e il Liceo Agnesi, finché in quarta non è partito per studiare all'estero e non ha più fatto ritorno in Brianza. Laureato in Scozia, Giuseppe è appassionato di musica classica e sin da piccolo ha preso lezioni di pianoforte alla Scuola di Musica San Francesco di Merate. Possessore di due passaporti - italiano e britannico -, attualmente risiede a Tokyo, dove da poco ha conseguito un research master in architettura informatica al Tokyo Institute of Technology, e dove durante i Giochi Olimpici e Paralimpici ha deciso di candidarsi come volontario.
Come ti è venuta l'idea di proporti come volontario alle Olimpiadi e Paralimpiadi?
"Un'amica che lavorava al comitato organizzativo di Tokyo 2020 mi ha detto che molti volontari assegnati per i servizi linguistici non sarebbero riusciti a entrare nel paese a causa della pandemia, e che l'italiano era tra le lingue di cui avrebbero avuto più bisogno. In quel momento ho deciso di candidarmi, senza immaginare quello che mi sarebbe aspettato."
In cosa è consistito il tuo ruolo?
"Assistevo gli atleti che preferivano parlare nella loro lingua anziché in inglese. Seguivo principalmente atleti italiani e cinesi. La lingua principale era l'inglese, ma spesso ho dovuto far uso del giapponese con i giornalisti locali e altri volontari. La maggior parte delle richieste di assistenza venivano dai giornalisti. Tra le altre cose ho assistito gli atleti in emergenze mediche e i dottori durante il test di doping. Poi ogni volta che un atleta vinceva una medaglia dovevamo andare ad assisterlo nel briefing della cerimonia. Alle Olimpiadi sono stato collocato al beach volley, mentre alle Paralimpiadi mi occupavo del nuoto."
Hai vissuto i Giochi in prima persona, però stavi lavorando. Sei riuscito comunque a goderti qualche competizione e magari ad assistere a qualche vittoria dell'Italia?
"Ho avuto il privilegio di vedere le gare dal vivo nonostante quest'anno non fossero ammessi spettatori. Seguendo in gara e dopo-gara gli atleti italiani ho iniziato subito a conoscerli meglio e a tifare per loro. Ho avuto occasione di incontrare da vicino quasi tutti gli atleti che hanno partecipato al beach volley olimpico e nuoto paralimpico. L'Italia al nuoto paralimpico ha mandato la delegazione più grande tra tutte le nazioni e molti nuotatori italiani hanno ottenuto successo portando a casa ben 39 medaglie in totale."
"È stata la prima volta che ho lavorato a una manifestazione in Giappone e nella tradizione locale il saluto che ci si scambia tra colleghi è 'otsukaresamadesu', che letteralmente vuol dire 'sei una persona stanca', ma che vuol dire anche 'hai fatto del tuo meglio', o 'sei degno di riposarti perché hai lavorato duramente'. Ci salutavamo così tra volontari, addetti alla sicurezza e alle pulizie. Poi anche gli atleti e i giornalisti stranieri hanno imparato questa espressione e sui mezzi pubblici a volte anche gente sconosciuta mi salutava in questo modo visto che portavo la maglietta dei volontari. È stata una sensazione fantastica essere apprezzato per il proprio lavoro con il saluto 'otsukaresamadesu'. Oltre a questo ho fatto tante amicizie con i volontari del nostro team, i giornalisti, specialmente Alberto Dolfin de' La Stampa, i membri del comitato olimpico e anche alcuni atleti che vedendomi tutti i giorni hanno iniziato a riconoscermi, e con cui ho iniziato a tenermi in contatto sui social. Anche i membri del Comitato Italiano Paralimpico sono stati gentilissimi e mi hanno contattato personalmente per ringraziarmi per la mia assistenza, anche perchè ho lavorato più alle Paralimpiadi che alle Olimpiadi. Devo anche ammettere che ho provato più emozioni seguendole e mi dispiace che non abbiano un'audience grande quanto le Olimpiadi, perché a livello sportivo le gare sono mozzafiato. Inoltre ogni atleta paralimpico nasconde una storia dietro la propria disabilità. Si percepisce facilmente che una medaglia paralimpica significa tanto per chi la conquista, specialmente se nella sua vita ha dovuto combattere la discriminazione. Mi sarebbe piaciuto fermarmi e conoscere ogni atleta che mi è passato di fianco per chiedere la sua storia."
"Essendo poliglotta dalla nascita sono agevolato nell'imparare le lingue. Il giapponese è una lingua simile al cinese, quindi ho avuto pochi problemi a studiarlo. Ovviamente vivere nel paese aiuta tantissimo, ma bisogna anche essere disposti a usare la lingua fuori dagli studi perché, nel mio caso, credo di avere imparato più giapponese parlando con gli sconosciuti nei bar che in classe. Il mio consiglio è di non avere mai paura degli altri. Da piccolo ero molto timido, ma la persona che sono adesso è cresciuta grazie al fatto che ho voluto avventurarmi lontano da casa. Non sarei la persona che sono oggi senza le mie esperienze. Mio padre è un'ispirazione per me, negli anni Ottanta ci voleva coraggio a lasciare la Cina per venire in Italia senza una lira. Ha lavorato sodo per costruirsi una vita in Brianza e questo mi ha permesso di poter andare a vivere all'estero. Rispetto alle sofferenze che ha provato lui, essere lontano da casa oggi è veramente facile perché viviamo in un mondo connesso e globalizzato. Mi reputo ottimista perchè le cose belle della mia vita mi sono capitate senza che le pianificassi. Chi l'avrebbe mai detto che dal Liceo Agnesi di Merate grazie a un programma di scambio al quarto anno sarei rimasto in Regno Unito per i successivi 7 anni? Non avrei neanche mai pensato che venendo a studiare in Giappone sarei rimasto affascinato da questo paese tanto da voler rimanerci. Stessa cosa per Tokyo 2020. Mai avrei pensato di fare le amicizie di cui ho parlato, o di scoprire così da vicino i giochi Paralimpici. La morale è che per me non esiste una via corretta da seguire a tutti i costi. Mi considero fortunato per le opportunità che ho avuto, ma il fatto è che queste opportunità le ho colte. Sono cresciuto facendo una serie di 'leaps of faith' - salti nel vuoto - e ne è assolutamente valsa la pena. Buttatevi."
Edoardo Mazzilli