LIBRI CHE RIMARRANNO/27: ''Uccidete me, non la gente'' di Gerolamo Fazzini
Per me la lotta civile in Myanmar è sempre stata una canzone sparata a palla, di quelle che ti fanno sfiorare la levetta del cambio dietro il volante e tirar su di giri il motore, e via sull’autostrada deserta cantando. “Walk on”, degli U2, dedicata proprio a “The Lady”, la leader Auung San Suu Kyi.
Per me l’immagine simbolo di quanto un singolo uomo può fare nei confronti di una minaccia così enormemente più grande di lui è sempre stata “Tank Man”, l’uomo diventato famoso perché si parò davanti ai carri armati cinesi durante la repressione di Piazza Tienanmen. Di lui, naturalmente, non si è saputo più nulla.
Poi le due immagini si sono fuse in un’altra, di quelle che rimarranno alla storia anche se il tempo oggi sembra voracemente divorare ogni cosa. È il 28 febbraio di quest’anno ancora in corso quando una suora affronta da sola in ginocchio il plotone di soldati pronti a sparare sui manifestanti che a Myitkyina chiedono diritti e libertà.
Si chiama suor Ann Rose Tawng, e Gerolamo Fazzini ci racconta di lei nel suo “Uccidete me, non la gente” (Emi, pagg. 85, Euro 10,00).
Lecchese, giornalista, editorialista di “Avvenire”, scrive su “Famiglia Cristiana”, insegna in Università Cattolica a Brescia e al PIME di Monza, lo incontro col pretesto di un gelato in piazza Garibaldi a Lecco, e i nostri appuntamenti dell’ora dopo slittano obbligatoriamente, mentre telefoniamo e ci scusiamo a turno, perché il gelato è buono e la conversazione di più. Ci scambiamo libri di suore: gli do il mio, su suor Alice Domon desaparecida in Argentina nel ’77 e lui mi racconta dell’incontro con questa suora birmana, delle telefonate tradotte da una consorella interprete residente a Lecco, di un’intervista fatta via whatsapp pur di non perdere il filo della storia.
Questo è il naso di un giornalista “sul pezzo”, come si dice: capire quando la cronaca che ti scorre davanti agli occhi e nelle righe delle agenzie è già storia, e vale la pena eternarla.
Il libretto è di quelli che si definiscono agili: si legge in poco tempo, se si deve. Ma non ce ne si libera in altrettanti minuti. È utile a chi accetti che i confini del mondo non sono quelli del nostro quartiere o della chat di turno, che il male (e il bene) stanno camminando attraverso strade che nemmeno conosciamo. È indispensabile per chi voglia capire qualcosa in più, di prima mano, sui fatti che accadono in quel sudest asiatico che dal punto di vista geopolitico è davvero il nuovo ombelico del mondo.
È indispensabile a chi crede ancora che la fede sia coraggio e arte. “Artigiani di pace”, come dice papa Francesco, capaci di piccoli gesti di dignità, quotidiani, silenziosi, non per ciò inutili.
Leggendo le risposte di suor Ann Rose alle domande di questo libro intervista si rimane colpiti da questa dignitosa piccolezza, che è fatta anche di frasi fatte che risulterebbero banali e inverosimili in bocca a chiunque, specie se pronunciate da qualche pulpito imborghesito, e sono invece vere perché hanno i calli di chi non ha avuto paura di inginocchiarsi davanti ai manganelli.
Per me l’immagine simbolo di quanto un singolo uomo può fare nei confronti di una minaccia così enormemente più grande di lui è sempre stata “Tank Man”, l’uomo diventato famoso perché si parò davanti ai carri armati cinesi durante la repressione di Piazza Tienanmen. Di lui, naturalmente, non si è saputo più nulla.
Poi le due immagini si sono fuse in un’altra, di quelle che rimarranno alla storia anche se il tempo oggi sembra voracemente divorare ogni cosa. È il 28 febbraio di quest’anno ancora in corso quando una suora affronta da sola in ginocchio il plotone di soldati pronti a sparare sui manifestanti che a Myitkyina chiedono diritti e libertà.
Si chiama suor Ann Rose Tawng, e Gerolamo Fazzini ci racconta di lei nel suo “Uccidete me, non la gente” (Emi, pagg. 85, Euro 10,00).
Lecchese, giornalista, editorialista di “Avvenire”, scrive su “Famiglia Cristiana”, insegna in Università Cattolica a Brescia e al PIME di Monza, lo incontro col pretesto di un gelato in piazza Garibaldi a Lecco, e i nostri appuntamenti dell’ora dopo slittano obbligatoriamente, mentre telefoniamo e ci scusiamo a turno, perché il gelato è buono e la conversazione di più. Ci scambiamo libri di suore: gli do il mio, su suor Alice Domon desaparecida in Argentina nel ’77 e lui mi racconta dell’incontro con questa suora birmana, delle telefonate tradotte da una consorella interprete residente a Lecco, di un’intervista fatta via whatsapp pur di non perdere il filo della storia.
Questo è il naso di un giornalista “sul pezzo”, come si dice: capire quando la cronaca che ti scorre davanti agli occhi e nelle righe delle agenzie è già storia, e vale la pena eternarla.
Il libretto è di quelli che si definiscono agili: si legge in poco tempo, se si deve. Ma non ce ne si libera in altrettanti minuti. È utile a chi accetti che i confini del mondo non sono quelli del nostro quartiere o della chat di turno, che il male (e il bene) stanno camminando attraverso strade che nemmeno conosciamo. È indispensabile per chi voglia capire qualcosa in più, di prima mano, sui fatti che accadono in quel sudest asiatico che dal punto di vista geopolitico è davvero il nuovo ombelico del mondo.
È indispensabile a chi crede ancora che la fede sia coraggio e arte. “Artigiani di pace”, come dice papa Francesco, capaci di piccoli gesti di dignità, quotidiani, silenziosi, non per ciò inutili.
Leggendo le risposte di suor Ann Rose alle domande di questo libro intervista si rimane colpiti da questa dignitosa piccolezza, che è fatta anche di frasi fatte che risulterebbero banali e inverosimili in bocca a chiunque, specie se pronunciate da qualche pulpito imborghesito, e sono invece vere perché hanno i calli di chi non ha avuto paura di inginocchiarsi davanti ai manganelli.
Stefano Motta